Di questo brano viene alla mente l’America apolide di tempi andati ma anche la libertà espressiva di una giovane avventuriera. Nina Duschek è apolide di suo e non ci sta nei regimi delle etichette e delle regole per quanto poi alla forma del pop acido macchiato di folk e di roots antiche, affida il suo suono e la sua lirica. “People” è un brano che travolge a suo modo… e sono ottime le carte con cui si gioca la partita questo nuovo disco in arrivo dal titolo “Bandana Revolution”. La bella intervista a seguire…
La strada, le persone… tutto questo nel singolo ma tutto questo sarà anche dentro al disco o sbaglio?
Diciamo che le canzoni del disco le ho scritte quando facevo ancora prevalentemente musica di strada, quindi, subconsciamente e consciamente le ho strutturate in un modo da poterle suonare dal vivo per strada. Ho sempre cercato di creare delle canzoni con dei ritmi coinvolgenti, che fanno ballare, e canzoni “forti”, nel senso che mi permettono di farmi sentire nei vicoli quando suono senza amplificazione. Quindi si, in un certo senso le canzoni del disco rientrano in questo spirito di strada. Per quanto riguarda “People”, ovviamente, è ancora più coinvolgente per la gente, poiché parla proprio di essa volendo dare un messaggio chiaro: di fregarsene di quella che la gente pensa su uno stesso.
“People” è una fotografia di ciò che vive attorno oppure è il modo in cui tu vorresti vivere?
Di fregarmene, come ho detto prima, è certamente un modo in cui voglio vivere, solo così posso essere libera a fare quello che veramente voglio fare. Ma logicamente, questa dinamica è qualcosa che ci riguarda un po’ tutti. Sappiamo che dentro noi stessi abbiamo le risposte alle domande che ci poniamo ogni giorno, forse a volte ci manca soltanto il coraggio di veramente ascoltare e di andare oltre alla paura di non essere capiti e accettati da fuori. Non badare all’opinione altrui ed essere così come si è e basta è più facile dirlo che farlo ed è un cliché che ci accompagna ogni giorno. Ma come dico sempre: sono proprio i cliché, quello che sentiamo dire ogni giorno, le “frasi fatte”, ad essere le cose più importanti, più vere e piú difficili da implementare nella vita di tutti i giorni.
Il rock torna alle origini. Una produzione che dici sposa molto il vintage e l’analogico. Con il futuro che rapporto hai?
Poiché io stessa ho iniziato proprio con il Rock’n’Roll, i vecchi classici degli anni 70 e il blues, non sorprende che il mio primo album sia stato influenzato proprio da quel sound vintage. Questa produzione come l’ho fatta adesso è stata un primo passo nella direzione giusta in cui voglio andare, e so che è l’inizio e che non voglio definirmi troppo. So di essere una persona che ha sempre voglia di crescere e mi stuferei a stare lì dove ho incominciato. Il futuro lo vedo come un’opportunità di essere in continua trasformazione. Avrò sempre un amore vero per l’analogico, ma so di non essere solo quello, e so di voler sperimentare con generi e sound dove la gente che mi ha accompagnato fino ad adesso non mi vedrebbe a primo impatto, ma dove io sento che è la mia strada.
Artista che nasce dal suonare tra la gente. Dove ti trovi ora? Quanto viaggio ti aspetta?
Negli ultimi anni ho fatto tanti concerti qui in Alto Adige, di cui la maggior parte era in pub, locali, bar e quant’altro. Sono riuscita a guadagnare un sacco di esperienza che non sapevo mi servisse, soprattutto anche con la produzione e pubblicazione dell’album che è durata più di due anni. Fare la musicista non è qualcosa che succede ma che, secondo me, mi sono dovuta guadagnare con forza, pazienza, perseveranza e nel credere in me stessa. In tutto questo tempo ho capito di quanto lungo il viaggio sia veramente. Mentre una volta credevo che si trattava solamente di fare musica e basta, ora so che è molto di più: è capire chi sono veramente, cosa voglio dire alla gente e a me stessa, come voglio crescere, con quali valori voglio vivere e che alla fine si tratta di sviluppare un rapporto intimo con chi si ha intorno. E parlo dei fan, ovviamente, ma anche dei rapporti lavorativi e famigliari. Alla fine, sono quelle le relazioni che lasciano veramente vivere la propria musica, e crearsi tutto quanto richiede tempo e una profonda dedizione per quello che si fa. Penso di aver svolto la primissima fase del mio viaggio, imparando le basi e un certo senso di umiltà. E ho capito di quanto può essere lungo il viaggio, ma è proprio questo che lo rendo così bello.
Il video ufficiale di “People”: la libertà passa anche nel come mostrarsi? Qual è per te il vero concetto di libertà?
Certo. Il video di “People” è molto letterale. Siamo io e quattro altri individui che camminiamo per le strade della città, mostrando chi siamo con tutti i nostri colori che ci appartengono. È un inno all’individualità. E il video è anche una piccola dedica al movimento LGBTQ+, di cui io stessa faccio parte. Ma è molto più di quello. Il video e la canzone vogliono sottolineare che serve coraggio per mostrarsi così come si è e che non è semplice, ma che può essere una cosa bellissima e soprattutto liberatoria. Può essere una cosa liberatoria amarsi ed accettarsi così come si è, perché non si aspetta più al permesso dato da fuori. È quasi un atto di ribellione. E se ne siamo fieri e camminiamo per strada senza nasconderci possiamo trasmettere anche agli altri questo senso di libertà e in questo modo ci possiamo liberare a vicenda, amandoci ed accettandoci come siamo fatti.