“Troppo Tardi” è il nuovo disco degli Studio Illegale, gruppo nato nel 2016 tra i banchi di scuola e che, da allora, non ha mai smesso di fare musica insieme.
– di Martina Rossato –
Come mi racconta Matteo Piermartini, voce del gruppo, i sei si sono conosciuti suonando nella banda del loro paesino in provincia di Viterbo. All’inizio sentivano l’esigenza di fare ska, poi le sonorità si sono evolute insieme ai loro gusti musicali.
Oggi, Studio Illegale significa non porsi limiti.
Comincio con una domanda sul disco, che è uscito da un po’. Come sta andando? È come ve lo aspettavate?
Sta andando bene, alla gente piace! Sono molto di moda le canzoni tristi; mi aspettavo avrebbero avuto più successo quelle più allegre e spensierate, ma a quanto pare no [ride, ndr]. È un riscontro strano ma positivo, quello che stiamo avendo dal pubblico.
C’è qualcosa che avreste voluto cambiare all’ultimo ma era “Troppo Tardi”?
La maggior parte delle canzoni del disco sono state pensate inizialmente per un altro concept. Alcune canzoni parlavano di amore in senso stretto, altre di amore inteso come amicizia. Quindi certe canzoni che si trovano nel disco sono nate come canzoni dedicate ad amici, in modo palese, con tanto di nomi e riferimenti. Poi ci siamo accorti che sarebbe stato meglio virare su altri argomenti e le abbiamo rese addirittura canzoni d’amore. Non è mai troppo tardi neanche in quel senso!
Quindi il concetto che volete far passare è che non è mai troppo tardi in niente?
Eh no, non è mai troppo tardi. Inteso soprattutto come “Non è mai troppo tardi per stare insieme”. Ci sono amicizie che sono finite, ma non è mai troppo tardi neanche per rivedersi, magari in una sala prove per suonare insieme.
Qual è il pubblico a cui vorreste fare riferimento?
Non so, sai? Pensavamo a ragazzi come noi, sui vent’anni, però ormai la generazione è cambiata. Le nostre canzoni sono più cantautorali, di un indie che non va più di moda. Il range di età quindi forse è più alto, ma va bene lo stesso. Se una canzone colpisce una persona non importa quanti anni abbia o il suo background, l’importante è che rimanga impressa.
Avete cominciato a fare musica insieme da tanto tempo, c’è qualcosa che avete dovuto riadattare nel tempo? Questo mi sembra un album che segna una svolta importante per voi.
Sì, c’è stato un cambiamento. Io sono quello che scrive le canzoni e ho sentito forte questo cambiamento durante il periodo del Covid. Nel 2018 facevamo musica ska, punk, raggae. Non so se sia perché siamo cresciuti oppure per circostanze esterne, ma ci troviamo più in altri contesti. Nello specifico direi nell’indie, perché vediamo il mondo in maniera diversa, credo sia questo il motivo.
Nel tempo mi sembra abbiate toccato un po’ tutti i generi. Vi rispecchiate nella “musica di oggi”?
Le canzoni di adesso non mi piacciono, a parte qualcosa nel cantautorato. Io sono proprio in quell’ambito del cantautorato anziano [ride, ndr], che adoro.
Se pensi a qualche artista di adesso che vi piace?
Che “ci” piace è difficile da dire, fai conto che siamo in sei e ascoltiamo musica diversissima. Se devo dirti in generale, Willie Peyote, i Canova… molto indie. Io son più vecchiotto, vado su De Gregori; gli altri vanno più sul pop, quindi i Pinguini e cose del genere.
Nel video c’è una citazione a Bob Dylan, se dovessi dirmi un featuring impossibile (o quasi)?
Io direi con Bob Dylan, che tra l’altro è ancora vivo, quindi un po’ di speranza ce l’abbiamo [ride, ndr]. È il capo supremo di tutti, il boss del cantautorato mondiale. Gli altri mi meneranno, ma adesso parlo io e decido io!
Il nome del vostro gruppo è molto carino e mi sa un po’ di ribellione. C’è effettivamente questo?
Mah, diciamo di sì e di no. Veniamo da un paesino di neanche duemila abitanti, a Viterbo. Eravamo piccolini, avevamo 16 o 17 anni e volevamo fare qualcosa che ci distinguesse dagli altri. Non volevamo giocare a pallone o star seduti al bar, ci è sempre piaciuta la musica e volevamo trovare qualcosa che ci differenziasse. Studiavamo tutti quanti, quindi da qui l’idea di “Studio” e alla fine di “Studio Illegale”.
Quindi siete uno di quei gruppi che è nato prima sulla carta e poi vi siete messi a suonare?
No, no. Facciamo parte quasi tutti della banda di paese, io ad esempio ho studiato dieci anni il trombone. Ci eravamo un po’ stufati, però c’era questo sentore di musica ska nell’aria e abbiamo pensato di mettere il trombone e il sax in un gruppo musicale. Io all’inizio suonavo il trombone, poi ero l’unico intonato, tra molte virgolette, quindi mi hanno messo a cantare.
Quindi per questo “quelli della tromba”?
Sì, per questo! Poi ci sono stati tanti generi, tanti connubi. La tromba, i fiati, son quello che ci contraddistingue.
E com’è crescere, soprattutto musicalmente, in un paesino così piccolino?
Molto molto difficile. I maestri che ho avuto erano molto rudi e poco “istruiti”. Anche crescere in un paesino piccolo dove sei l’unico che fa “pop”, usa la chitarra e arrangia con strumenti nuovi non è una cosa ben vista. Lì c’è la mentalità della banda, dove devi suonare per forza, devi saper leggere la musica e così via. Abbiamo deciso di applicare la nostra conoscenza a strumenti innovativi. Ancora oggi è molto difficile, per forza bisogna spostarsi a Roma o in altre città grandi.
Come vi siete fatti strada?
Posso usare l’espressione “botta di culo”? Perché penso sia quello [ride, ndr]. Dovevamo fare un video musicale e abbiamo contattato un ragazzo, da questa storia è nata la collaborazione con Piotta e ci siamo mossi così, con il culo [ride, ndr].
Cosa vedi nel futuro degli Studio Illegale?
Tante teste pelate, perché perderemo tanti capelli! Non lo so, comunque… adesso stiamo lavorando a un progetto con un altro produttore importante nell’ambito indie (che però non posso dire)!