– di Giuditta Granatelli –
Il primo brano della Dark Polo Gang in cui mi sono imbattuta è “Magazine”, che mi fece ascoltare la mia migliore amica del tempo in seconda liceo. Lo trovai sensazionale. Come tutti gli altri loro brani. Ne sono ben consapevole, la maggior parte degli italiani inorridirebbe a leggere questa frase. La maggior parte degli italiani odia la DPG, odia i loro testi nonsense, inconsistenti, il loro atteggiamento borderline, odia questi ragazzini viziati che sbiascicano e che con questo sbiascicare fanno soldi a palate (e non ne avessero avuti in partenza, di soldi!). La maggior parte degli italiani odia soprattutto lui: Tony Effe.
Tony Effe che è ossessionato dalla regina Elisabetta e che afferma di essere “British”, inventando una nuova accezione per questo termine. Tony Effe che canta con dei volpini in braccio il cui pelo è mosso da due phon puntatiglisi addosso. Niente da fare, però: alcuni di noi tardo-adolescenti annoiati, figli di una generazione che ha già visto tutto (o forse non ha voglia di vedere niente), lo hanno apprezzato molto. Perché fa musica senza senso, è vero, ma quel nonsense che nel 2021 invece di senso ne ha, perché in molti non hanno più voglia di sforzarsi per apprezzare significati profondi, ma preferiscono immedesimarsi nel gangster, nel ragazzaccio di strada che però “viene dal primo rione”. Un po’ come se fosse un gioco, un roleplay. E se tutto questo Tony finora l’aveva fatto con i suoi Dark Pyrex e Dark Wayne (Dark Side purtroppo a un certo punto se n’è andato), il 4 giugno ci siamo trovati davanti a Untouchable, il suo primo album ufficiale da solista.
Le sonorità, i testi, tutto richiama moltissimo la già sentita Dark Polo Gang. E per certi versi è proprio questo il punto: è Tony Effe la DPG, senza di lui il gruppo non esisterebbe neanche, o se non altro sarebbe finito nel dimenticatoio già da un pezzo. Senza nulla togliere agli altri due trapper, la prova del nove è proprio questa, il frontman (se così lo si può chiamare) che anche da solo resta sempre lui, “Young Rich Tony”, un concentrato di ego, metafore sconclusionate, soldi spesi male, il disagio, il niente, quel niente che ci piace tanto. Neanche quest’album è impegnativo, è piuttosto ricco di perle che come tali sono inconsistenti, un ornamento. Ornamento che però avevamo già visto.
A scanso di equivoci, non è che le novità non ci siano. Però sono quei classici piccoli cambiamenti che adottano gli artisti contemporanei, nell’illusione di reinventarsi. Tony ci “sorprende” con un pezzo in cui fa il romantico, ma senza perdere il suo stile, la sua integrità, senza scomporsi troppo insomma. Ecco “Escort Lover”. Poi ci sono “Effe”, con un beat vaporwave/pop anni ‘80 e “Tony Montana”, un inno a Scarface. Insomma, divertente e funzionante come album, chi ha apprezzato la DPG lo ascolterà tutto con piacere. Perché, ribadisco, non è niente di nuovo e se da un lato va benissimo così, dall’altro il re della trap avrebbe potuto approfittare dell’occasione per tirare fuori qualcosa di più innovativo, già che c’era.