Pesarese, cantautore. Due aggettivi per presentare Davide Pagnini, che con il suo ultimo album Maschere getta le basi della sua carriera solista.
Dal 2009 infatti aveva fatto parte di un duo, gli Ebanoh, con il quale aveva girato l’Italia e portato avanti diversi discorsi musicali, mettendosi in gioco anche come autore e compositore di colonne sonore.
Ed eccolo finalmente approdare come solista con un album particolare, curato e ben realizzato, uscito il 27 dicembre 2015 e preceduto da un paio di singoli (“Chiedersi Perché” e “Rosso di Sera”) che lo mettono subito in mostra per l’acuto e raffinato songwriting.
Maschere è un disco da cantautore libero, un disco da cantautore che non ha bisogno di far parte del classico movimento degli snob barbuti che scrivono per metafore inconsistenti e poco azzeccate, e che oggi infestano il panorama indipendente italiano (diventando spesso vittime della moda che dicono con insistenza di disprezzare), è un disco leggero, dove però ogni singola parola ha un suo peso specifico non trascurabile, ed è capace di affrontare diversi argomenti più o meno pesanti sempre con un ottimo piglio.
Davide Pagnini non ha bisogno di dichiarare con malcelata invidia la sua estraneità al pop, alla musica “da tutti i giorni” o da radio, e anzi riesce ad affermare, attraverso i tredici brani che compongono il suo lavoro, la possibile universalità della sua musica, delle sue parole.
E tutto questo non significa rinunciare a parlare del futuro, dei progetti impossibili ma nei quali bisogna credere a costo di doversi scontrare con mille difficoltà, e di quelli che ci si rimpiange di non aver portato avanti (come in “L’Impalcatura Trema”), né rinunciare a metafore della vita come accade nella opening track Ballerino di Jazz.
C’è spazio per armonie complesse, ma anche per linee vocali estremamente “easy listening”, che richiamano alla mente l’approccio degli Zero Assoluto e le composizioni più ispirate di Cesare Cremonini (come nel singolo Rosso di Sera). C’è la provincia, c’è la città, c’è l’odio e c’è l’amore. Tutto è affrontato costantemente con profonda serietà, coadiuvato da una produzione precisa, che predilige i toni caldi, sviluppati attraverso arrangiamenti piuttosto coerenti nel corso dell’album, fatti di chitarre acustiche arpeggiate e archi, sui quali risalta la voce del cantautore pesarese che racconta con chiarezza e trasporto ogni sillaba dei suoi testi.
Siamo di fronte ad un album fortemente pop, dove per pop si intende “popolare”, vicino alla gente, vicino alle difficoltà e alle vittorie di tutti i giorni, composto da storie che molti vivono, ma che in pochi riuscirebbero a raccontare in musica con la forza e la semplicità che Davide Pagnini riesce ad avere.
Di maschere ne sono descritte tante in questo album, quelle che molti decidono di indossare per necessità o semplicemente per vergogna, ma l’opera non ne ha affatto, è pura, diretta, riconoscibile.
Francesco Pepe