«Nel 1997, ascoltando Ok Computer dei Radiohead, pensai che avrei dovuto cambiare mestiere». È Paolo Benvegnù ad affermarlo. Ed è sempre Paolo Benvegnù che oggi, a distanza di vent’anni dall’uscita di quell’album spartiacque, interpreta The Tourist per il progetto Ko Computer, realizzato dal programma di Radio1 “King Kong”. Un’operazione rischiosa: celebrare i vent’anni dall’uscita di un album del genere significa avere a che fare con canzoni non solo seminali per la storia della musica ma che, in due decenni, sono state assorbite da un pubblico che le ha legate indissolubilmente al proprio vissuto. Con Ko Computer si segue un andamento altalenante: a volte si ha l’impressione di costeggiare un percorso già tracciato da altri, riuscendo a malapena a intravedere un panorama ispiratore, altre volte no.
Ad Appino e Motta è affidata l’apertura del disco, con una Airbag che diventa corollario della fine dei vent’anni, con un cantato che ricorda abbastanza quello dei fratelli Gallagher. Si procede con Diodato, bravo interprete di una canzone che ha evidente paura di toccare (e a ragion veduta: chi riuscirebbe a manipolare con disinvoltura Paranoid Android?) e Niccolò Fabi, elegante e dimesso nella sua cover di Subterranean Homesick Alien. Mentre il tributo più punk arriva da Spartiti, che rifanno Fitter Happier. Posto che già coverizzare una ghost track sia qualcosa su cui riflettere, farlo con la marcata cadenza reggiana e la forte pronuncia anglo-padana di Max Collini è un sublime colpo da professionisti. Pregevole il tentativo di Iosonouncane – forse l’artista più a proprio agio nel progetto – di fare una versione iper-riverberata e più che mai angosciante di Climbing up the Walls, meno quello di “godanizzare” Karma Police: un divorzio a cui molti, cresciuti sia con i Radiohead che con i Marlene Kuntz, non avrebbero voluto assistere. Eppure.
Ok Computer dimostra come gli album epocali, da Never Mind the Bollocks a Nevermind (e basta), passando per Unknown Pleasures e The Wall, vivano a una latitudine che è di loro esclusiva pertinenza: la capacità di essere generazionali dipende dall’abilità di fotografare una situazione, un contesto e un target precisi. Ma anche la lungimiranza di rendere quelle parole e quella musica fondanti, capaci di diventare motore per altri futuri malesseri a volte da guarire, altre volte da generare.
Ne è valsa la pena, quindi, dare vita a Ko Computer? Si dice che siano i morti a non dover essere disturbati: Ok Computer è fortunatamente ancora vivo e alienante e, allora, perché lasciarlo in pace?
Redazione
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