IL MONDO E’ PIU’ VELOCE, MA RICORDIAMOCI DI ESSERE UMANI
Tredici tracce. Tredici tracce sono tante, ma si parla del nuovo album dei Modena City Ramblers e come dicono i romani: «allora se po fa’». Dopo quattro anni di silenzio musicale sono tornati il 10 marzo con il nuovo album Mani come rami, ai piedi radici.
Il viaggio è lungo ma non troppo, si parte forse un po’ prevenuti: siamo abituati a sentire i Modena City Ramblers molto calati nel mondo attuale, siamo abituati a canzoni sociali e molto impegnate (e impegnative). L’ascolto è rivolto con la massima concentrazione su ogni parola e suono, e l’orecchio cerca di trovare un collegamento tra i vari pezzi. Gli album dei MCR hanno sempre dato l’impressione di essere dei libri più che dei Cd: un filo lunghissimo e impossibile da rompere ha sempre legato ogni pezzo rendendo l’ascoltatore partecipe di una vera e propria storia.
Questa volta non è così, o meglio lo è molto meno; pochissimi sono riferimenti espliciti a fatti storici e/o culturali. Resta invece tutto il mondo espressivo caro alla band, dove la poesia si accompagna alla verve istrionica del dialetto, ma anche dello spagnolo e dell’inglese; incroci che rispecchiano la voglia di conoscere e incontrare, musicalmente di sperimentare e intrecciare stili e linguaggi.
A differenza dei loro ultimi lavori, i Modena City Ramblers in questa nuova avventura in studio fanno tutto da soli, con l’eccezione di un’unica collaborazione di grande prestigio: la band americana Calexico, che impreziosisce di sapori desertici l’ammaliante ballata “My Ghost Town”, cantata in inglese e punto di approdo tra orizzonti morriconiani, celtici e tzigani.
Che sia sfogliando le pagine della storia o affidandosi alla fantasia sulle rive di un fiume, o MCR hanno sempre un modo tutto loro di raccontare la vita.
Benedetta Barone