Per come attualmente sono strutturati i contesti destinati ai live, che siano essi grandi, medi e piccoli, difficilmente potranno produrre una modificazione di stato della vita musicale o incidere sui rapporti tra arte e mercato. Soprattutto in Italia i “locali dove si suona” sono luoghi concepiti di frequente come spazi concentrazionari fini a se stessi, né tantomeno costituiscono trampolini di lancio per giovani band o singoli cantanti, ma il più delle volte danno vita a piccoli e spesso minuti episodi isolati e slegati l’uno dall’altro.
Ecco che non sapendo guardare oltre, i concerti di oggi restano piuttosto fatti a sé, senza precedenti e conseguenti. Cosicché, escludendo il monologo collettivo tipico del web sul quale, in mancanza di una certificazione ufficiale chiunque può autoglorificarsi come e quando gli piace, il successo e le carriere professionali di strumentisti e cantanti si decidono in un irraggiungibile altrove. Quale ? La vecchia, cara TV generalista, vale a dire nei Talent nazionali, che progressivamente si configurano come macchine del consenso impostate sul più retrivo dei criteri meritocratici: quello che bandendo una « gara » stabilisce chi debba conquistare la popolarità imitando ciò che già c’è.
C’è una via d’uscita a tutto questo ? È arduo riassumerlo in poche righe, quel che si intravede è che sia in ambito colto che di consumo le future sorti della musica non saranno certo determinate da una rinascita della dodecafonia, della serialità o postserialità, né dai linguaggi aleatori, stocastici ed elettronici. Pure è improbabile che stili e forme popolari come pop, rock e jazz possano riacquisire forza ed unità data la miriade di correnti, generi e nei rivoli dei mille sottogeneri in cui si sono frammentati. Da quanto emerge credo di poter ipotizzare che, in entrambe le sfere, gli sviluppi dei linguaggi sonori si giocheranno in primo luogo sul versante delle modalità di fruizione e dunque orientandosi alla ricerca di inedite funzioni sociali, trovando spazio nel campo della fisiologia ed in nuovi contesti che coinvolgeranno non solo l’udito ma il coacervo di tutti gli altri sensi.
Cosa induce a queste previsioni ? Citerò la più rilevante. Poiché l’internauta durante la navigazione, che sovente avviene “in solitaria”, è sollecitato esclusivamente sotto l’aspetto ottico e acustico, quella digitale può definirsi senza tema di smentita una monocultura bidimensionale. L’eccedenza di segnali audio-video ha generato uno svilimento nel campo delle arti visive e uditive andando a minare il concetto generale di « rappresentazione » usualmente intesa. Dobbiamo quindi prendere atto che l’insieme delle discipline che si esprimono nell’ambito di ciò che si guarda e ascolta potranno rivalutarsi unicamente interpolandosi con il principio di inter-azione [incontri reali tra individui] e ristor-azione [gastronomia, profumeria e quel che riguarda i contatti corporei]. Ciò in parte già sta avvenendo: i talent gastronomici hanno sopravanzato quelli musicali e l’espansione della cosmesi, il dilagare di tatuaggi e piercing uniti ai progressi della chirurgia plastica fanno sì che quanto incide sull’epidermide rientri a pieno titolo nella sfera estetica.
Vi sono fasi cruciali nella storia della musica in cui il sonoro si appoggia su altri sensi; ecco che viene a decadere l’ascolto puro. Nella Grecia antica la musica non era disgiunta da recitazione, ginnastica e medicina. Si dimentica che nel melodramma sette-ottocentesco oscuri retropalchi e scintillanti foyer facevano tutt’uno con cibi, corteggiamenti, pratiche sessuali e gioco d’azzardo, come pure il primo jazz esplose negli Stati Uniti grazie all’invenzione di balli arditi e alla diffusione dell’alcool. Per arrivare ai rave, forme recenti ma certo non nuovissime, di aggregazione in cui domina il caos multisensoriale. Se occhi e orecchie sono giunti a gradi estremi di saturazione siamo vicini a un’arte nuova, che sorgerà alla luce della deprivazione sensoriale e relazionale indotta dall’avvento di pc e telefoni cellulari.
Gianfranco Tirelli