E non sono cocci rotti, scarti, non sono pezzi rovinati dal tempo, immondizia di consumo. E non sono sparsi per negligenza, noncuranza, non sono sparsi perché pronti a perdersi nell’indifferenza. È l’esatto contrario. Sono cocci, sono frammenti che alla vita chiediamo come si osservano i dettagli, sono quelle angolazioni misteriose che creano la magia vera. E sono spari ovunque che dobbiamo inseguirli, dobbiamo cercarli che loro stessi non si fanno rintracciare proprio perché sembrano non vogliano cadere nelle grinfie di chiunque. Dunque Luca Cassano nella produzione di Martino Cuman e uno sparuto gemellaggio di altre anime buone, genera un disco come “Cocci Sparsi” sotto l’egida del moniker Le Rose e il Deserto.
Sembra che comunque in ogni deserto della vita ci possano essere rose… basta vederle, basta riconoscerle. E queste canzoni hanno il sapore di un’attesa, di una contemplazione non solo nei primi passi acustici ma anche quando si dedicano alle rifiniture digitali lasciando ampio spazio a suoni larghi e a landscape nebulosi, sospesi. Si ascolti questa “sirena” che accompagna “Salgari”: un viadotto in cemento dentro la periferia della nostra piccola città, nessun degrado piuttosto quelle notti dentro cui cercare la propria rivoluzione. E non a caso questo è un brano di evasione restando incollati al proprio nascondiglio salvifico. Anche quando subentrano metriche percepisce sghembe e inaspettate come nella successive “Due note soltanto”, i veri protagonisti sono questi arrangiamenti che aprono e fluttuano tutto. Penso che “Mappe” sia il vero cuore di questo disco: forse il momento più autobiografico, forse il brano che tradisce una fragilità umana densa di umiltà e sincerità… e la scrittura che ricerca il gusto dei dettagli sporchi, roots, da vero cantautore ma che in fondo gli piace sguazzare nell’elettronica timida anch’essa, fatta di piccolissime cose… vane nebbie che rimandano alla contemplazione di una Roma bella, sporca e puttana come accade dentro “Per le strade di Roma” di De Gregori. Il disco scivola dentro le piccole cose, non smetterò di sorprendermi… piccole come l’amore infinito di “Gino ed Alice”, piccole come il suono gentile di rullante nello shuffle di “Per ricordami com’eri”, piccole come il metallo distopico che porta sulle spalle il suono di “Magellano”… sono cocci appunto, sparsi come vi dicevo. Le Rose e il Deserto è un progetto che a questo disco deve molto perché lo sento ispirato, fiducioso, ricco di verità. L’incertezza della voce che non sempre sta sul pezzo con una precisione scolastica, che un poco inciampa nella definizione dei contorni, aumenta il valore umano e la vicinanza con le storie di questo disco. Lo ascolterei ancora ora che è scesa la notte, la periferia e i quartieri si preparano la cena e io quasi quasi esco a fare due passi sperando che arrivi alla testa univano nuovo dentro cui perdermi…