– di Michela Moramarco –
L’Orchestraccia ha pubblicato un nuovo singolo, dal titolo “La Santa”. Presentato in anteprima allo scorso Concertone del Primo Maggio, il brano affronta il tema dell’inadeguatezza senza rinunciare all’intenzione di far ballare i propri ascoltatori. Abbiamo scambiato alcune battute con un componente della formazione musical-teatrale, Marco Conidi.
Il vostro nuovo brano “La Santa” è un mix stilistico, un viaggio nello spazio oltre che nel tempo. Ci direste di più su come è andata la fase di scrittura del testo?
La mia continua ricerca nell’approcciare i vari tipi di stile – sia dal punto di vista linguistico che musicale – è mossa da una grande voglia di innovazione.
Girando l’Italia ho scoperto di quante analogie ci siano, nel rock e nel folk, tra stili musicali regionali e di quanto anche i linguaggi – in cui le differenze costituiscono dei valori aggiunti – siano in realtà facilmente assimilabili.
Credo fortemente che l’Italia sia un Paese unito e colto e che – come diceva De Gregori – qui non è come negli Stati Uniti, in Italia da un casello all’altro non ci scrivi neanche un ritornello! Pensando, quindi, a questo nostro meraviglioso Paese in cui tutto è così vicino, dove è bellissimo passare dal Salento alla Sicilia, dalla Calabria per poi tornare su sull’Adriatica e scoprire che la Tarantella e il Salterello hanno dei punti in comune. Anche nella letteratura, scrittori come Sciascia e Belli – con tempi diversi e linguaggi diversi – hanno espresso gli stessi pensieri nei confronti della prepotenza, dei poteri, dell’arroganza e dei deboli da difendere; e anche al Nord, la dolcezza delle poesie di Pavese ricorda certi sonetti di Trilussa. L’Italia è un Paese sentimentale e spesso il linguaggio dialettale è una forma di slang che viene usato trasversalmente.
E invece l’arrangiamento di un vostro brano, sicuramente complesso, ha delle particolari criticità? In termini di tempo e concordanza di idee.
A maggior ragione, per quanto riguarda gli arrangiamenti, “La Santa” è una sorta di biglietto da visita perché ci sono delle chitarre elettriche un po’ alla Smashing Pumpkins su un ritmo salentino, sullo stornello: si tratta di una forma di folk-rock molto nuova.
Che ne pensate della musica italiana attuale per quanto riguarda il folk-rock?
Io credo che il folk-rock sia in assoluto uno dei generi più innovativi e a cui spetta un futuro molto roseo. Non è solo una mia convinzione, basta osservare la scena italiana: anche i nuovi rapper e cantautori – che aumentano sempre di più – scrivono e parlano in dialetto facendo così in qualche modo del folk anche loro, mischiando generi diversi…alcune volte le loro canzoni risultano anche incomprensibili! Noi cerchiamo di utilizzare sempre un “gioco” che sia accessibile da una parte all’altra dello Stivale, però anche i testi di quei cantautori che a volte andrebbero sottotitolati, se uno ha la pazienza di ascoltarli e capirli, può scoprire dei modi di raccontare le cose che hanno la loro forza proprio in quella specifica forma.
Il vostro approccio musicale è anche molto teatrale. Come è possibile mescolare queste due dimensioni senza cadere nella retorica?
L’approccio teatrale, essendo noi anche degli attori, è un gioco che riguarda maggiormente lo spettacolo. Sicuramente non è il cosiddetto teatro canzone, perché non sono gli stili di Gaber, Jannacci o Fo, non sarebbe neanche giusto usare questa terminologia che a volte abbiamo usato un po’ superficialmente. Credo che si tratti di monologhi contestualizzati in un concerto rock. Abbiamo degli attori con delle voci bellissime, anche quando parlano, e questo ci permette di poter fare una forma di canzone più sperimentale.
Che rapporto avete con il vostro pubblico, sicuramente eterogeneo?
Coinvolgere un pubblico molto eterogeneo, che varia dai 15 anni fino ai 70 credo, è una delle soddisfazioni più grandi che potessimo avere! Non avere solo una nicchia di pubblico, ma riuscire a riunire intere famiglie rappresenta proprio una delle motivazioni che ci ha spinto a formare un gruppo come l’Orchestraccia.
Quali sono gli effetti sperati nel pubblico dopo uno spettacolo dell’Orchestraccia?
L’Orchestraccia punta a un tipo di spettacolo completo. Sotto questo aspetto, in realtà, siamo molto poco italiani e molto più internazionali. Io, ad esempio, sono un grandissimo amante di Bruce Springsteen e The E Street Band che ho visto anche pochi giorni fa al Circo Massimo e lì la sensazione è sempre quella di uno spettacolo fatto da uomini, dove c’è il momento della commozione, del ballo, della riflessione, quello in cui scende una lacrima e quello in cui si urla di gioia e ci si fa coraggio. Ecco, credo che chi fa spettacolo in questo momento in Italia dovrebbe cercare di toccare tutte quante queste corde. Assistere ad un nostro concerto è come salire sulle montagne russe delle emozioni: a me piace commuovere, far ballare, cantare, divertire, riflettere, indignare a volte. Non siamo certo dispensatori di ricette per la felicità, ma possiamo lanciare domande, interrogativi e soprattutto intrattenere il pubblico che è davvero qualcosa di straordinario!