– di Michela Moramarco –
Classe 1998, Antonio Guadagno, in arte Manfredi, pubblica il suo album d’esordio dal titolo Kintsugi. Anticipato dai brani “Doveva essere oggi” e “Hollywood”, è composto da dieci brani. Potenziale colonna sonora per la vita quotidiana di ogni ventenne, l’album, come dice il titolo tratto dalla tradizione giapponese, indica il processo di rimettere insieme i pezzi per ricostruire qualcosa che si era rotto, ma temporaneamente. Si tratta di un racconto condivisibile delle proprie fragilità, incorniciato da sonorità gradevolmente pop ma mai banali. Manfredi non ha bisogno di inventare storie, le racconta perché le ha vissute in prima persona e questo fa della sua musica un’espressione di autenticità. Ne abbiamo parlato con Manfredi.
“Kintsugi” è il titolo del tuo album d’esordio. In questo album quanto c’è di autobiografico?
È un album decisamente autobiografico. Personalmente credo che ogni brano dovrebbe esserlo. Si tratta di trasmettere un’emozione alle persone che ascoltano. E quindi, se quell’emozione non è stata vissuta in prima persona da chi la racconta, diventa difficile anche riuscire a trasmetterla. Non invento mai, parlo di cose che mi sono successe davvero. Del resto, credo che il primo disco sia un’opportunità: sai che c’è, mentre il secondo già non si sa (ride, ndr). Ci tenevo a creare un disco con brani che, se dovessi andare ad ascoltarli tra dieci anni, mi ricorderei di determinati momenti dei miei vent’anni. All’interno di questo album ci sono dieci tracce che per me hanno gradi significati: dalla fine di una storia d’amore, alla paura di dover scegliere cosa fare dopo il liceo. Il brano che parla di quest’ultimo tema di intitola “Porte chiuse” e ricordo di averlo scritto la mattina dell’orale della maturità. Tutti i brani dell’album parlano di esperienze che ho davvero vissuto.
Emotivamente parlando, è stato difficile mettersi a nudo e raccontare le proprie fragilità in musica?
Devo dire che quando si scrive un brano, nell’atto compositivo, non proprio ci si rende conto di star raccontando qualcosa a qualcuno. Il momento della scrittura è abbastanza intimo, ci sei solo tu. È quando pubblichi il momento in cui inizi a capire che stai davvero trasmettendo una storia. Probabilmente sono cose con cui si fanno i conti nel tempo. Ma va detto anche che queste canzoni sono state scritte circa un anno fa, quindi, anche i sentimenti che sono molto accesi quando scrivi, nel tempo si assopiscono.
Questo album sembra trasmettere un messaggio piuttosto chiaro, ovvero: “Non ti preoccupare, ci son passato anche io”; si tratta di un album molto condivisibile. Che ne pensi?
Sono molto d’accordo. Essere condivisibile è ciò che mi piace fare con la musica. E devo dire che è anche quello che mi piace riscontrare nella musica, ovvero ascoltare qualcosa da cui possa sentirmi capito. Questo disco si intitola “Kintsugi”, con uno sguardo al mondo orientale, un mondo in cui eterno non significa uguale a sé stesso per l’eternità, ma eterno ricostruire. Questo concetto mi è piaciuto molto: l’idea di dover sempre costruire. E questa è la vita.
Parliamo di qualche brano nello specifico. “Milano droga” è il brano che racconta Milano come scenografia di varie vicende amorose. Mi racconti il tuo legame con questa città?
Milano è una città che mi ha dato tanto, dalla possibilità di studiare alla possibilità di fare musica. È una città alla quale devo essere molto riconoscente. Il rapporto con Milano è molto bello e poi passare dall’hinterland a Milano significa abituarsi a ritmi di vita molto più frenetici. Significa avere molto stimoli e credo che questa città sia una grande fonte d’ispirazione. Ne sono felice.
Un altro brano che mi ha colpita particolarmente è “Amico immaginario”. Com’è nata l’idea di questo tema e di questo titolo così narrativo?
Ti dicevo, sono cresciuto nell’hinterland, quindi non c’era molto da fare. Poi prima le amicizie si creavano condividendo lo stesso sport. Personalmente non sono mai stato molto bravo, quindi avevo difficoltà anche a integrarmi. Successivamente le amicizie si sono create proprio attorno alla musica: un mio amico mi disse di comprare una chitarra e iniziare a suonare. Così non ho più smesso. Il brano è nato intorno ai legami nati grazie alla musica.
Parlando di sonorità si percepisce coerenza e personalità. Com’è andata la fase di lavorazione dei brani in studio?
Dunque, pubblicare un album per me significa dare la possibilità di comprendere il messaggio generale sia ascoltando tutto l’album che ascoltando i brani singolarmente. In questo si spiega anche la scelta del titolo. Poi, parlando si struttura dei brani, ho cercato di ragionare per creare dei ritornelli che il pubblico possa cantare insieme a me. Infine, credo sia importante dare valore anche alla coda del brano. Insomma, un brano deve far venire voglia di cantare fino in fondo.
Mi sembra che tu abbia avuto le idee abbastanza chiare riguardo i brani. E per concludere, cosa ti aspetti da questo album?
Mi aspetto il tour. Sono felice di questo album, mi aspetto di farne un’esperienza di vita.