– di Assunta Urbano –
“Io cerco per sempre un bivio sicuro” è il nuovo capitolo del percorso musicale di Marco Giudici. Un’improvvisazione che prende la forma di quattro tracce, ma soltanto “Un bivio sicuro” è una canzone nell’idea più classica del termine.
Il lavoro è uscito lo scorso 7 dicembre per 42 Records, in collaborazione con Adele Altro e Alessandro Cau. Il tutto è nato il 23 e il 24 aprile alla Casa degli Artisti a Milano, occasione in cui il trentunenne milanese si è lanciato nell’esperienza di alcune session aperte al pubblico.
Prima di questo progetto, abbiamo conosciuto l’artista e ingegnere del suono con l’esordio “Stupide cose di enorme importanza” nel 2020 e come produttore di Marco Fracasia e Generic Animal. Ci siamo catapultati nel mondo di Marco Giudici e abbiamo immaginato che probabilmente il suo bivio sicuro potrebbe essere riconducibile proprio alla musica.
“Io cerco per sempre un bivio sicuro” non è un vero disco, non si tratta neppure di un EP. Come presenteresti questo lavoro?
È la ripresa di un momento di improvvisazione in studio insieme a un piccolo pubblico. Lo abbiamo fatto quattro volte e scegliere quale performance pubblicare non è stato semplice. Erano tutte buone per un motivo o per l’altro, e io non cercavo nessun punto di arrivo. Per me l’importante era il processo, l’azione e la condivisione.
Il progetto è arricchito dalla presenza di due artisti, parte importante del tuo percorso: Adele Altro e Alessandro Cau. Ci racconti di queste collaborazioni? In che modo si sono intrecciati i vostri universi?
Sono i due musicisti con cui ho il legame più forte. E anche tra di loro c’è una connessione. Con Adele sono quasi dieci anni che condividiamo praticamente tutto, dalla musica alla crescita umana. È un rapporto estremamente equilibrato e complementare, che continua a rinnovarsi anche dopo così tanto tempo. Alessandro l’ho conosciuto che ero già più formato, ma la prima volta che lo vidi suonare mi si aprì un mondo.
Io cerco costantemente di creare occasioni per stare insieme tramite la musica, lui vive ad Oristano ed è certamente più complesso. La fortuna è che c’è una grande intimità spirituale a colmare la distanza fisica. Durante i mesi difficili della pandemia non ci siamo visti, poi mi invitò a fare un concerto per “Brenti”, che è il suo disco solista. Lì mi scattò qualcosa che mi invogliò a esplorare il mondo in cui mi aveva parzialmente introdotto.
Il lavoro è stato registrato il 23 e il 24 aprile alla Casa degli Artisti di Milano e le session sono state aperte al pubblico. Che esperienza è stata? Ha cambiato il tuo modo di fare e percepire la musica?
Ho voluto agire in questa direzione perché già mi sentivo proiettato verso tale modo di fare musica, ha catalizzato un processo. Con questo non voglio dire che mi sto avvicinando al genere musicale, quanto più all’attitudine di cercare una cosa viva, concentrarmi più sull’atmosfera e meno sugli estetismi.
Qual è stato il punto di partenza, il suono che ha dato vita a tutto?
Il primo suono che si sente nel disco: i suoni lunghi. Ho iniziato a esplorare quel mondo perché mi faceva stare bene, mi curavo l’umore. Lasciavo in sottofondo quei suoni anche per una giornata intera, o più, poi ho iniziato a scriverci, ed è lì che è nata l’idea di portare tutto fuori dal mio studio. Sentivo il bisogno di condividere questo momento per quello che era.
Pubblicare un disco che non è un vero disco è un gesto rivoluzionario, secondo te?
“Rivoluzionario” è una parola un po’ troppo carica di significato. Alla base c’era una necessità di condividere qualcosa e di farlo nel modo più semplice. Essere insieme nello stesso momento, nella stessa stanza, con gli stessi ascolti è stato immediato. Poi pubblicarlo è stata una scelta a posteriori, perché ci è piaciuto non tanto il risultato, quanto l’esperienza. Il mio augurio è che arrivi più l’atmosfera che la musica in sé.
Cosa si può fare oggi per portare un cambiamento concreto nel panorama musicale italiano?
Non lo so, non mi viene da pensare così in grande. Ho intorno molte persone con cui faccio musica, o parlo del fare musica, e ho capito che già l’essere parte di un gruppo allargato di persone con valori e ideali condivisi è una fortuna. Dopotutto non possiamo fare poi molto, se non seguire la nostra idea e cercare di non adeguarci a qualcosa che non ci riguarda.
Al termine di questo viaggio, Marco Giudici ha trovato il bivio sicuro? Se sì, di quale si tratta?
Ce ne son tanti. Fare questa cosa lo è stato per me.