– di Martina Rossato –
Vintage Violence più che il nome di un gruppo sembra essere la sua dichiarazione di intenti.
D’altronde, quando una band decide di chiamarsi come il primo album solista di John Cale, precedentemente membro e cofondatore dei Velvet Underground, non può essere un caso. E se qualcuno avesse ancora qualche perplessità sull’intenzione di rendere omaggio al celebre gruppo nato nel ’64 dall’incontro tra Cale e Lou Reed, per sciogliere ogni dubbio basterebbe dire che il cantante, Nicolò Caldirola, è noto semplicemente come Nico.
È quindi con questo spirito un po’ 70s che mi sono avvicinata all’ascolto di “Mono”, il nuovo album dei Vintage Violence, che tornano oggi a pubblicare un disco dopo sette anni dall’ultimo lavoro in studio, “Senza paura delle rovine”. “Mono”, che esce per Maninalto! Records, era stato anticipato dai singoli “Piccolo tramonto interiore” e “Zoloft”, due brani profondi e sinceri, come sono i Vintage Violence.
“Mono”, termine spagnolo che significa “ossessione”, è un disco energico, in linea con le sonorità cui siamo stati abituati dal gruppo fin dal suo esordio, vent’anni fa. La band è infatti nata a Lecco nel 2001 e da allora ha mantenuto forte la sua identità, caratterizzata da un’anima punk e ribelle, nonostante i dischi prodotti fino ad oggi siano decisamente variegati. La musica e i testi di questo album sono stati scritti dall’abile penna di Rocco Arienti che, tramite giochi di parole e momenti di sottile ironia, è riuscito a rendere bene l’idea agrodolce che i Vintage Violence hanno della nostra società.
Alla base di tutto il disco c’è un più o meno sottile filo di inquietudine e di paura, quel timore di rimanere intrappolati in una realtà che ci consuma da dentro al posto di darci nuove possibilità. Queste sensazioni negative, accompagnate dal tentativo di scappare dai dettami di una società percepita come classista, diventano più evidenti in alcuni brani, come nella prima traccia “Piccolo tramonto interiore” in cui la critica sociale giunge all’esasperazione, «Perché il grado di felicità noi lo misuriamo in chilometri da Milano».
In “Mono” troviamo poi un Dio che nella vita fa il batterista, descritto come si parlerebbe di una qualsiasi persona, un numero tra i miliardi che abitano nostro Mondo. Il loro rapporto con la religione risulta in effetti molto particolare, critico, ma non polemico. Come affermano ironicamente in “Zoloft”, altro brano che ci mette con spavalderia di fronte alle nostre paure più recondite: «Dio non è con te, sarai tu che sei strafatto». E forse hanno ragione, forse prendere la religione con ironia è l’unico modo per farcela andare bene, per come è, nel 2021. Siamo giunti al limite, sopportare ancora che la religione possa essere causa di discriminazione non è più ammissibile, e per questo cantano che «La paura dell’Islam è la paura di te stesso».
L’ultima traccia dell’album, “La chiave” sembra la conclusione perfetta per un disco che prova ad abbattere lo spettro delle apparenze sociali. Questa canzone ci vuole quasi proporre una chiave, una soluzione e non a caso la track si conclude con la registrazione del brano stesso, ma canticchiata dalla voce di un bambino.
Il disco sarà presentato live il 27 novembre al Legend Club di Milano.