– di Michela Moramarco –
f o l l o w t h e r i v e r è il nome di un progetto discografico di stampo alternative folk che strizza l’occhio alle sfumature sonore d’oltreoceano. Il nuovo EP di f o l l o w t h e r i v e r ha un titolo molto eloquente: “Whaterver the Future Holds, I’ll See You There”. Come si può intuire, è un EP di speranza verso un futuro non troppo remoto, di resilienza del sentimento. Inoltre, i brani sono caratterizzati da testi in lingua inglese, per una scelta artistica peculiare dell’artista ligure fautore del progetto f o l l o w t h e r i v e r. Musicalità profonda, parole calde e voce avvolgente sono gli elementi base che si mescolano a sonorità che in certi tratti non rinunciano all’ elettronica. Il risultato è che “Whaterver the Future Holds, I’ll See You There” è un EP evocativo, dall’attitudine indubbiamente internazionale. Ne abbiamo parlato con l’artista.
Ciao, la prima domanda è abbastanza naturale: da dove deriva la scelta di cantare in inglese?
Per questo progetto ho iniziato a scrivere in inglese da qualche anno. Una delle ragioni è molto semplice, ovvero che ho ascoltato prevalentemente musica di matrice anglofona; anche i brani di un mio progetto precedente che sono in italiano sono stati concepiti prima in inglese, che è una lingua che mi piace. Poi c’è anche un altro aspetto, cioè che l’italiano un po’ mi spaventa: per certi versi in inglese è più facile dire certe cose. La scelta, quindi, è determinata da una serie di fattori.
La tua musica ha uno stampo alternative folk. Quali sono gli ascolti che formano il tuo background e che ti hanno portato a questo genere?
Sicuramente nei miei ascolti ci sono i Bon Iver: ascoltando un loro brano diversi anni fa mi si è aperto un mondo. Sono rimasto folgorato dall’utilizzo di melodie struggenti cantate in falsetto e di chitarre ricche di riverbero. In quel momento è stato come se avessi sentito la mia stagione preferita, l’autunno, trasposta in musica. Ho cercato di avvicinarmi a quel mondo. Sto cercando quindi di trovare un mio spazio per esaltare queste melodie calde con beat molto profondi su base elettronica. Federico Malandrino mi ha aiutato in questo EP a trovare un giusto compromesso. Quindi nei miei ascolti c’è l’alt folk americano, soprattutto. Ma c’è anche musica elettronica, James Blake, per dirne uno.
Il tuo EP racconta la resilienza, qualsiasi cosa riservi il futuro ti troverò lì. È un EP di speranza?
Dunque, diciamo che ho concepito ogni brano di questo EP come un universo, con le proprie leggi fisiche. L’EP è allora una sorta di filo conduttore a unire questi universi anche diversi fra loro. Quindi, partendo dal titolo, si potrebbe dire che è un EP di speranza, ma non una speranza a cui aggrapparsi definitivamente, ma una speranza da prendere e interpretare a modo proprio per proseguire, una sorta di stimolo per un cambiamento, una ricerca, una continua evoluzione. È un significato molto personale.
Hai mai pensato a che pubblico ti rivolgi?
Ho sempre pensato che le canzoni fossero un modo per creare un ponte emotivo, di empatia con altre persone. Ci sono canzoni che hanno un’attitudine molto malinconica o riflessiva e non sono così immediate. Ma ci sono dinamiche che si scoprono soprattutto nei live, che sono la dimensione che mi piace di più., in cui cerco di essere più sincero possibile. Magari qualcuno può immedesimarsi. Quindi credo di rivolgermi a un pubblico aperto ad un ascolto più profondo. La lingua inglese mi permette di pensare a questo progetto come un progetto internazionale. C’è sicuramente lo svantaggio di competere con un panorama molto più ampio. Però cerco di vederne il lato positivo.
Progetti per il futuro?
Adesso, per il futuro immediato, spero che il settore riparta e cerco di portare in giro il mio EP in una dimensione live. E poi mi piace pensare al mio progetto come un’astronave che atterra su un mondo sempre diverso. Porterà sicuramente a nuova musica, magari live.