– di Riccardo De Stefano –
In un’epoca puramente digitale, fa piacere che ci siano operazioni come quella di Michele Neri, giornalista e direttore della rivista “Vinile”. Michele ha infatti realizzato un nuovo e densissimo dizionario dei “Cantautori e cantautrici del nuovo millennio”, con 1966 artisti in ordine alfabetico, dai più famosi agli autoprodotti, con oltre 10.000 dischi trattati.
Il volume, uscito per Iacobelli Editore a gennaio, è un’opera importante e ambiziosa e ne abbiamo discusso con l’autore Michele Neri.
Raccogliere e catalogare i cantautori e le cantautrici del nuovo millennio in un dizionario è un progetto coraggioso. Quanto è stato difficile pensarlo e realizzarlo?
Credo che affrontare questo progetto sia stato naturale. L’idea è nata sette anni fa, quando ho cominciato a far parte della commissione della Targa Tenco. Già ascoltavo molti dischi di cantautori emergenti, ma essere tra i selezionatori mi ha fatto scoprire un mondo. Percepivo una sorta di fastidio, di dolore dato dall’invisibilità. Io sono un catalogatore nato, mi piace ricordare che da piccolo ho fatto l’elenco dei nemici di Tex, cosa abbastanza folle per un dodicenne.
Così ho cominciato a pensare di scrivere un libro sulla discografia, ne parlavo con l’editore, che all’inizio era scettico. Quando gli ho sottoposto le pagine che avevo già scritto è partito tutto: il 25 luglio del 2018 ho cominciato a lavorarci a ritmo serrato coinvolgendo alcuni collaboratori.
Inizialmente avevo messo anche i complessi, poi mi sono reso conto che sarebbe stato un lavoro fuori portata: sono due cose distinte e necessitano due libri separati. Una volta ridotto il progetto ai solisti, pensavo di riuscire ad arrivare a mille schede, numero che ho superato abbondantemente. Preso lo slancio, siamo arrivati a 1950. A quel punto ne ho aggiunte 16 per arrivare al mio anno di nascita.
Qualche anno fa hai avviato anche un altro progetto: Ar.Disc., un archivio discografico online. Qual è la differenza tra lavorare alla materia digitale e su carta?
La carta ha il difetto di invecchiare ancora prima dell’uscita del libro. Ho aggiornato i dati fino al 30 novembre mattina, mentre stava per andare in stampa ho aggiunto le ultime cose. Nel mio progetto Ar.Disc. posso modificare in qualsiasi momento.
Il libro no, e una volta andato in stampa mi sono accorto di dimenticanze clamorose: in un dizionario sui cantautori dimenticare Federico Fiumani, Piero Pelù, Kaballà, Samuel, Boosta, Lilith e Andrea Parodi è un colpo al cuore. Mi è venuto un brivido di dolore anche se so le motivazioni: mi sono concentrato su quelli che avevano più bisogno di visibilità e ad esempio ho collocato automaticamente Diaframma con Fiumani, Litfiba con Pelù e li ho messi negli anni ‘80.
Essendo una stampa digitale, ho provveduto e provvederò: nella seconda tiratura i nomi ci saranno e altri due o trecento cantautori che si sono palesati saranno presenti nella seconda edizione.
Ho fatto pace con l’idea che invecchia subito. La storicizzazione è qualcosa che ferma un momento in una scena incredibilmente vasta.
Il grande trauma di questi anni di streaming è vedere tanta musica passare e non rimanere. Non solo, ormai sembra esistere solo il pop da classifica, celebrato talvolta sopra i reali meriti. Ti sei preoccupato di esprimere giudizi nei confronti delle carriere o è un lavoro asettico ed enciclopedico?
Nelle schede che ho fatto io ci sono dei giudizi critici. Se devo dire che Sirianni o Flò sono tra i migliori esponenti di questa nuova scena, lo faccio senza alcun problema. Ho lasciato carta bianca ai collaboratori, che sono una ventina scarsa, perché mi piaceva l’idea che ci fosse qualcosa in più del freddo dato biografico.
Le reazioni sono state interessanti. Qualche escluso c’è rimasto male, ma ho percepito nella maggior parte dei casi molta educazione e umiltà. Mi è stato chiesto se fosse possibile prenderli in considerazione per una eventuale riedizione, qualche cantautore ha tra le righe manifestato una scontentezza perché di colpo si trova mescolato a mille altri.
Mi ha stupito molto notare un certo astio tra i commenti degli addetti ai lavori, anche di persone che non conosco personalmente, ma con cui ho avuto sempre rapporti di stima reciproca.
Il mio è un censimento in cui elenco tutti gli artisti, senza esclusioni di merito, con un lavoro freddo e asettico. Li propongo tutti: qualcuno si incuriosirà e forse andrà a sentire Galoni che magari non ha mai sentito e che è un genio secondo me. O andrà a sentire Flò o Claudia Crabuzza.
Tocchi un argomento in un certo senso un tasto un po’ dolente della musica italiana. Cantautori e cantautrici: si tratta poi di definire che cos’è la canzone d’autore. Quali sono stati i criteri di inclusione? Cosa rende un cantautore tale?
Io non riconosco il termine “canzone d’autore”. Il termine inventato da Enrico de Angelis era sacrosanto all’epoca, ma oggi ne siamo orfani, perché usato da molti come medaglietta di qualità: viene definita canzone d’autore quella di colui o colei che ti piace.
Invece “cantautore” o “cantautrice” è un termine più oggettivo per indicare colui o colei che compone parte della canzone, che sia quella musicale o testuale. Sono partito da questo e intendendo includere canzoni d’autore avrei messo tanto volentieri gli Yo Yo Mundi, gli Acustimantico, o Il Muro del Canto. Li vedo come cantautori circondati da un gruppo. Daniele Coccia Paifelman è un cantautore che forse non se la sente di cantare da solo e ha bisogno del gruppo.
Nella prossima edizione inserirò una serie di gruppi, limitata perché penso di non essere in grado in tempi ragionevoli di ampliare il tutto e fare due volumi da 5000 schede. La scheda di un complesso richiede che se ne ricostruisca carriera, formazione, episodi solistici… diventa qualcosa che va oltre le mie possibilità. Quello che volevo io, e lo posso dire contraddicendo me stesso, è un dizionario della canzone d’autore. Contesto questo termine per l’uso che ne è stato fatto negli ultimi anni, non per il significato originale.
Cantautori e cantautrici del nuovo millennio: è un periodo molto lungo, ormai siamo da 23 anni nel nuovo millennio e si risale anche ad artisti degli anni ‘90. C’è qualcosa in questo studio che accomuna tutti questi artisti? Hai trovato affinità e divergenze?
Sicuramente ci sono differenze, se partiamo dai primi anni ‘90 abbiamo Max Manfredi, Capossela, Bersani, poi Silvestri, Gazzè, Cristina Donà: artisti che avevano una visibilità, un circuito discografico in cui inserirsi.
Più si è andato avanti e più è diventato facile fare un disco, ma difficile farlo sentire. Sembra facile promuoversi sui social e in generale ho notato un peggioramento del pop italiano. Posso fare anche dei nomi, volendo: Jovanotti, Giorgia, Elisa (che è comunque una delle più rigorose secondo me), hanno delle produzioni insufficienti.
L’ultimo disco di Elisa, non i live, parlo del disco in italiano, è debole secondo me, mentre il disco in inglese è eccezionale. Come se si sentisse libera di essere se stessa nel secondo disco e imprigionata in un cliché pop che deve rispettare nel primo.
Questo vale per tanti artisti pop e valorizza tutti questi cantautori che raccolgo in questo libro che, con mezzi infinitamente inferiori, fanno delle produzioni superiori. Cito un disco di Alessio Bonomo, “La musica non esiste”, che è una produzione superiore quanto a suoni, messaggio, resa, composizione, rispetto a prodotti molto blasonati dal punto di vista del budget. Questa è la differenza che si sta palesando negli ultimi anni: un appiattimento pericolosissimo per ciò che concerne il pop, quello che chiamiamo “mainstream”.
C’è un nome che hai imparato a conoscere ed apprezzare grazie a quest’opera e che anche noi possiamo imparare ad apprezzare?
Senza dubbio. Io ho dei buchi giganteschi nella mia conoscenza, me ne rendo conto perché quando arriva la fine dell’anno e vedo le classiche liste dei dischi più belli usciti, ogni volta mi chiedo come sia possibile che ne conosco uno su dieci. Lì mi rendo conto che ho delle carenze e me li vado a sentire.
Oltre a questo, facendo il libro, ho cercato di sentire tutto quello che ho inserito. Posso dire sicuramente che Capovilla è stata una sorpresa, così come Dolche, cantante valdostana, ma faccio delle scoperte continue. C’è una quantità di belle cose, come ovviamente di immondizia. Chiunque voglia scandagliare un minimo la musica italiana può trovare di tutto.