di Federico Cappella.
È lapalissiano, ormai, che il cantautorato spadroneggi nella scena musicale italiana. Le parole, nel bene o nel male, lasciano sempre il segno, qualcosa di ripetibile e riproducibile. E allora cosa ci fanno tre allegri ragazzi speechless e Friendless (per giocare con il nome dell’album) in questo mondo? È innegabile che gli album strumentali siano, nell’immaginario comune, quelli prog, quelli di classica o di elettronica.
Il disco dei Zeffjack, invece, ricorda le sonorità del rock fine anni ‘90 e del primo decennio del 2000: ci sono i Foo Fighters, i Placebo, in parte i Queens of the Stone Age e un po’ dei più incazzati Afterhours.
Nessuno discute quindi la musica, ma la drastica presa di posizione rispetto all’utilizzo (anzi, al mancato utilizzo) del verbo umano.
In fondo, però, si può parlare solo di quello che esiste e che si ha fra le mani: il lavoro dei Zeffjack ha tutti i riff nostalgici degli anni 2000; una cura impeccabile; un suono caldo e compresso e poi ha la cazzimma, anche se siamo al Nord!