La data zero del tour che presenta il nuovo album de I Cani ha il sapore di una cosa casuale, non programmata. Ultima di tre ad essere stata annunciata. Ultima ad essere andata sold out. Non si sa bene se c’è bisogno di un rodaggio dello show prima di affrontare Milano e Roma o se i motivi siano altri. Sul palco ci sono una batteria, un basso, un synth e sei tastiere. Ma i ragazzi sono cinque in tutto. Una tastiera è per Niccolò che a quanto pare vuole farci vedere quello che ha imparato quest’anno.
Niccolò Contessa si fa attendere, non sale sul palco prima delle undici e un quarto, il teatro è già pieno e impaziente da un po’. Arriva sottile ed esile nella sua postura che farebbe spavento a qualunque mamma, e parte con “Baby Soldato”: la gente risponde bene e così anche per “Protobodhisattva” e quasi pensi che siano tutti qui solo per l’ultimo album. Ma quando Niccolò ci annuncia qualche pezzo dai precedenti album il The Cage esplode di festa (e pogo) su “Le coppie” (che parte con un intro voce e piano inaspettato) senza risparmiarsi su “Hipsteria” e “FBYC (s f o r t u n a)”. La gente è davvero qui per I Cani, perché l’ultimo album è solo una conferma, anzi una crescita, un’evoluzione. Lo show è incentrato su Contessa, ma funziona bene, le luci e il visual di Martino Cerrati (Verdena, Dente, Ministri) sono un importante valore aggiunto. Si torna ai brani di Aurora, quelli più intimisti e personali. Contessa si regala al suo pubblico molto più di quanto ci saremmo aspettati anche se ancora fatica a guardare la platea in facciamo mentre canta. Infatti Niccolò canta, canta davvero, gioca con la voce, interpreta, suona. I risultati del suo ultimo anno di lavoro sono in faccia a tutti, apprezzabilissimi. Si torna di nuovo indietro: ai 15 anni di “Corso Trieste”, i 18 dei “Pariolini…”, ultimi veri romantici, e i 19 di “Post-Punk”.
E forse è sempre sui vecchi brani che il pubblico si diverte di più, è qui per urlare e ballare. Si chiude con “Questo Nostro Grande Amore” e “Non Finirà”. I nostri cinque spariscono dal palco ma si fanno desiderare per poco: tornano per regalarci “Il Posto Più Freddo” e “Calabi-yau”. Ci lasciano di nuovo, più a lungo, ma non ci arrendiamo e infatti tornano per un secondo bis.
Se siete qui per urlare pogare e ballare è il vostro momento: “Velleità” trascina il Cage in modo inverosimile, Niccolò si fa prendere la mano, calcia via il seggiolino della sua tastiera e poi si smonta completamente: via l’in-ear, via occhiali e berretto che lo caratterizzano. Parte “Lexotan” ed è davvero un regalo. E insieme a “Lexotan” Niccolò si regala lanciandosi sulla platea senza perdere una parola né una nota nel suo sorprendente ed inaspettato stage diving. Ed è così che ci salutano, stavolta davvero. Stavolta inevitabilmente. Ma il teatro è sazio e soddisfatto e sorridente nella sua inadeguata felicità.
Anna Lupen
Grazie a Francesco Meucci per le fotografie