Si chiama Marco Greco, classe ’91, il vincitore dell’ultima edizione del premio De Andrè: romano e con le idee chiare si è aggiudicato il primo posto nella categoria miglior canzone d’autore con il singolo “Sconosciuti”. A Exitwell ha raccontato come nascono le sue canzoni e soprattutto cosa vede nel suo futuro di giovane cantautore.
Classe ’91 e già vincitore di un premio così prestigioso come quello De Andrè: quali sono le tue sensazioni e in che modo pensi di onorare questo riconoscimento?
Sono felice. È un primo traguardo che ci siamo conquistati con tanto lavoro e dedizione. Parlo al plurale perché sono tre anni che lavoro con lo stesso gruppo di persone, e piano piano partendo dalle musiche e dalle parole che scrivo abbiamo tirato su un suono che ha un suo colore una sua pulsazione , e a suo modo è unico e questo è importante. La cosa che farò per onorare questo bel riconoscimento sarà continuare a lavorare come abbiamo fatto fin qui, dandosi come unici obiettivi la qualità e l ‘ autenticità.
Come è nato il tuo brano “Sconosciuti”? Quali pensi siano stati i punti di forza rispetto ai tuoi “sfidanti”?
“Sconosciuti” è nata in un pomeriggio scuro e ventoso, le strade erano quasi deserte e con questi colori nella tavolozza o cercato di descrivere un amore che si cerca e si rincorre partendo da una distanza, che può essere fisica ma anche interiore. La figura femminile a cui pensavo mentre scrivevo aveva dei lunghi capelli ricci biondi ma non un biondo acceso, quanto un biondo più caldo, color grano: da lì e nata l’immagine forse più fortunata del testo “Sconosciuti siamo noi come la neve ed il grano”. Io funziono così dal punto di vista creativo, “vado a naso”… la scintilla si accende sempre da un’ immagine, da un colore , da un’atmosfera o una traccia emotiva, quasi mai da un concetto. Riguardo ai punti di forza rispetto agli altri brani in concorso non sta a me dirlo e comunque la musica non è mai competizione, ognuno compete solo e soltanto con se stesso, che tra l’ altro è la cosa più difficile.
Il tuo sound si discosta molto da quello del panorama indie attuale ma gode comunque di una personalità e di una forza di riconoscimento. Come evolve il tuo processo artistico? Come nascono le tue canzoni?
Sulla nascita delle canzoni mi piace pensarla così: bisogna lavorare molto, tenere allenato il “muscolo espressivo “, stimolarsi con ascolti buoni, leggere bei libri e innamorarsi della vita , delle sue contraddizioni e della sua complessità giorno per giorno..se fai tutto questo con passione ogni tanto ti arriva (non si sa da dove e da chi) un premio, un regalo. Così nascono le cose migliori del mio repertorio; dopo giorni di lavoro in cui esce fuori poco e niente capita che giocando con lo strumento in una manciata di minuti ti escano fuori due o tre frasi concatenate tra loro, un paio di immagini poetiche e la canzone è fatta, e davvero sembra che si sia scritta da sola e che tu sia stato semplicemente un canale. In un attimo te la ritrovi sulle dita e sulle labbra e se guardi bene dentro ci riconosci la tua vita, i tuoi amori, le tue paure ed i tuoi sogni, insomma ci riconosci la tua anima. La sensazione di quel momento è tanto bella quanto indescrivibile.
Quando è nata la tua passione per la musica e chi sono i tuoi punti di riferimento?
Mio padre è musicista quindi qualcosa di genetico forse c’ è. Però e musicista classico quindi vicino ma anche molto distante da quello che ho scelto di fare. Ho cominciato a fare i miei ascolti e la figura del cantautore mi ha sempre colpito in particolar modo. mi sono innamorato di Battisti, Dalla, Conte, Modugno, Dylan. Ma, dopo aver fatto il pieno di cantautori, sono andato a cercarmi cose piu particolari e inconsuete : mi sono appassionato di flamenco poi di musica cubana e messicana, poi di musica greca e anche un po di manuche e un po di vecchio jazz cantato (alla Louis Armstrong, Chet Baker, Billy Holiday per interderci). Non amo le divisioni in genere, mi piace tutto ciò che comunica emozioni autentiche.
Quale la canzone di De Andrè che più ti rappresenta e quale secondo te rappresenta di più la tua generazione?
Non sono capace a parlare per la mia generazione, ma posso parlare per me: amo molto per i colori e le atmosfere mediterranee la sua produzione in genovese come ad esempio l’ album “Creuza de Ma “, ma la canzone che preferisco per l’intensità e la dolcezza sia della musica che delle parole è “La canzone dell’amore perduto”. Un capolavoro.
Come pensi, se è tra le tue mire, di farti conoscere dal grande pubblico?
Il pubblico lo conquisti se sei te stesso e se racconti la tua verità, quella che vivi sulla tua pelle. L’ arte per fortuna è un territorio dove bugie e strategie hanno vita breve; quindi darsi per quello che si è… tutto qui. E poi ovviamente studiare, migliorarsi, lavorare in profondità.
Come ti relazioni alla dimensione social, oggi così importante anche per un musicista?
Li uso per far sapere dove e quando suono e per condividere qualche brano che registro e in questo senso possono essere strumenti preziosi perchè alla portata di tutti; ma comunque rimane il fatto che un artista lo vedi da come sta sul palco non da come sta su Facebook.
Quanta importanza dai al live e come scegli la struttura delle tue esibizioni?
Questo sì che è un punto importante. il live è l’occasione dove misuri la tua forza espressiva e le potenzialità della tua arte, dove cresci e dove impari il coraggio che serve per fare questo mestiere. È un rituale sacro per me e ogni volta, che sia in un gran teatro o in un piccolo locale, cerco di prepararmi al meglio e poi al momento giusto di dare il massimo. Nelle serate fortunate, non sempre, ma per fortuna spesso, si crea con il pubblico un qualcosa di magico… senti che respirano con te e con la tua musica, e quando te ne torni a casa, a notte fonda, stanco e svuotato ma felice ti rendi conto di che fortuna hai a fare questo lavoro.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Come pensi di sfruttare questo trampolino di lancio?
Sto lavorando al mio primo disco che arriverà presto. Ce l’ ho “in cantiere” da un po’ e non vedo l’ora.
Francesca Ceccarelli