Mario Lavezzi nasce a Milano l’08/05/1948. La passione per la chitarra dimostrata fin da giovanissimo lo ha portato ad una carriera cinquantennale nel mondo della musica, coprendo tantissimi ruoli (autore, compositore, produttore, cantante, musicista, presidente della Commissione Musica della SIAE), e lavorando con i più grandi artisti del panorama nazionale. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare della sua carriera, della musica italiana di ieri e di oggi, e della situazione attuale della Società Italiana Autori Editori.
La quantità e la qualità delle collaborazioni professionali che puoi vantare nella tua carriera è innumerevole: Camaleonti, Mogol, Battisti, Bertè, Mannoia, Oxa, Dalla, Morandi, e molti altri. Ciò ti ha permesso di far parte, sia attivamente sia come spettatore privilegiato, dell’evoluzione della musica italiana. C’è qualcosa che è venuto a mancare che vorresti recuperare? E cosa apprezzi e cosa non ti piace della situazione attuale della musica in Italia?
A mio avviso oggi in parte mancano contesti di musica dal vivo strutturati in maniera tale da permettere continui scambi di esperienze e professionalità tra i musicisti, di opinioni, di prodotti del loro lavoro, che vadano così ad arricchire l’offerta musicale, i progetti artistici e le canzoni. Si è in generale imposto un nuovo sistema di realizzazione della musica, legato più alle nuove tecnologie. Un metodo certo utile e da non ignorare, ma rimane sempre necessario il ritrovarsi in studio, il confronto tra idee e tra capacità artistiche. La musica attualmente soffre del cambio epocale iniziato con la riproduzione digitale, che ha trovato impreparati molti operatori del settore (soprattutto i discografici), fiduciosi che il cd potesse comunque sopravvivere a questa rivoluzione. Il settore è in crisi, con una forte perdita di posti di lavoro ed un impoverimento generale del sistema: gli autori assistono ad un crollo dei loro introiti, dovuto anche al fatto che vari provider spesso non pagano il dovuto per quanto concerne l’utilizzo dei contenuti.
A tal proposito, le nuove possibilità (legali e non) di diffusione della musica pongono un serio problema di gestione del diritto d’autore, la sua riscossione e la sua distribuzione agli aventi diritto. Pensi che il concetto di diritto d’autore vada oggi ridisegnato o vada invece riaffermato il modello esistente?
Alla base va sempre mantenuto il concetto di difesa dell’opera d’ingegno. Le invenzioni vengono tutelate attraverso il brevetto, affinché siano giustamente riconosciute la paternità del prodotto e la possibilità di trarne un profitto economico. Questo deve valere anche per la musica, perché proprio per la sua natura e la sua grande riproducibilità tecnica, oggi più che mai è alla portata di tutti. Non va dimenticato che essere autori è una vera e propria professione, al pari di tutte le altre. La SIAE non fa altro che recuperare gli stipendi degli autori. Chi utilizza canzoni (una radio, un provider, un esecutore in un locale) deve essere cosciente che compilando correttamente il borderò, oltre a far percepire agli aventi diritto il giusto corrispettivo economico, sta riconoscendo un valore etico, che è quello di far valere questi diritti. Ritengo che il diritto d’autore debba essere sempre tutelato e difeso, in ogni occasione. È indiscutibile, ieri come oggi.
Hai accennato alla SIAE, di cui sei componente del Consiglio di Sorveglianza, all’interno del quale occupi il ruolo di Presidente della Commissione Musica. Navigando su Internet, ma anche parlando con i lettori di ExitWell, mi sono accorto di come la parola che meglio riesce a descrivere la percezione che si ha della SIAE sia “confusione”.
Sono reperibili centinaia di notizie, esperienze e pareri di chi ha avuto contatti più o meno continui con la società, dove spesso viene denunciata una gestione nebulosa e un servizio insufficiente rispetto alla spesa fatta per iscrizione, quota annuale, bollini e tutto il resto. Qual è il tuo parere? Ritieni ci siano problemi che vadano risolti in modo da garantire una maggiore efficienza della società?
Le passate gestioni si sono un po’ adagiate sugli allori, cosa che noi, con l’elezione di Gino Paoli a presidente SIAE, non vogliamo assolutamente ripetere. Stiamo infatti lavorando per modernizzarla, migliorarne i servizi e darle modo di affrontare le sfide con la multimedialità. Come Consiglio di Sorveglianza abbiamo condiviso ed approvato un piano strategico con deadline al 2015 che riporti la società al passo coi tempi. Vogliamo rendere possibile, tra le tante cose, la compilazione del borderò per via informatica, snellendo il più possibile anche le altre pratiche burocratiche. Voglio però continuare a sottolineare – riprendendo ciò che dicevo riguardo al diritto d’autore – di come queste riforme debbano essere accompagnate da un deciso cambio di rotta nei costumi di chi compila il borderò in maniera disonesta, favorendo i propri interessi rispetto a quelli dei reali autori delle canzoni eseguite. Questi comportamenti penalizzano tutti gli autori, di successo e non, perché poi chi si occupa della ripartizione dei diritti non ha a sua disposizione tutti i mezzi necessari per garantire in modo capillare e totalmente equo il servizio ed è costretto a correre ai ripari, cercando come può di arginare questa deriva di carattere etico.
Pensi che la mancata chiarezza nella compilazione del borderò sia solo una causa del problema riguardante la ripartizione dei diritti, o sia allo stesso tempo anche una sorta di “soluzione illegale”, una conseguenza di questo problema?
Sicuramente entrambe le cose, ma ciò non sminuisce la gravità di queste azioni. Compilare il borderò in modo disonesto porta ad un’appropriazione indebita di denaro destinato ad altri e un comportamento recidivo dovrebbe essere a mio avviso perseguito penalmente. Penso sia però assurdo arrivare a questo: bisognerebbe infatti generare e divulgare in modo sano un senso di correttezza. Il problema è soprattutto culturale. Per fare un esempio, esistono persone che hanno depositate in SIAE fino a quattromila canzoni in un solo anno (per fare un paragone illustre, Mogol arriva a qualche centinaia di canzoni in tutta la sua carriera): queste canzoni sono risultate suddivise tra numerosi musicisti, creando così una sorta di associazione a delinquere volta all’appropriazione indebita del diritto d’autore. Questo sistema non è ammissibile e non mi stancherò mai di ripetere come così si vada a ledere lo stipendio dei professionisti, dei piccoli ma anche dei grandi, di chi con la propria musica ha il merito di aver creato cultura popolare.
Dal punto di vista politico quanto c’è ancora da fare?
Moltissimo. In Italia manca una legge sulla musica che contenga tanto le sanzioni quanto i rimedi per combattere i problemi di cui abbiamo parlato. All’estero è presente praticamente dappertutto e consente ritorni economici e fiscali di gran lunga superiori a quelli che riusciamo ad ottenere nel nostro Paese. Attraverso una legge di questo tipo si potrebbe scoraggiare il lavoro in nero ottenendo un riconoscimento giuridico per tutti gli operatori del settore, ufficializzando i loro diritti lavorativi ma anche i loro doveri di contribuenti nei confronti dello Stato. Con una legge sulla musica sarebbe possibile creare una percentuale minima sui passaggi radio-televisivi da destinare solo alla musica italiana, con un grandissimo vantaggio per gli emergenti. Lo Stato deve imporsi, non è possibile considerare la cultura come l’ultima ruota del carro, e in un periodo di crisi come quello attuale non possiamo neanche più permetterci di perdere il gettito economico ricavabile da un’attenta valorizzazione della cultura e delle arti.
La tua carriera è frutto di grande tenacia e costanza, ma soprattutto di una seria gavetta che ha avuto luogo in un periodo – i primi anni ‘60 – forse più riconoscente, rispetto ad oggi, nei confronti del duro lavoro. Sei d’accordo con questa affermazione o pensi che sia ancora forte nel mondo della musica la possibilità di creare una carriera di qualità che riesca a durare più di una stagione?
L’epoca in cui io ho cominciato ad affacciarmi nella musica è ormai irripetibile. Negli anni ‘60, per far ballare la gente, dovevamo avere un repertorio di centinaia di canzoni, e avevamo modo di sviscerare tutte le melodie e le sequenze armoniche possibili. Una palestra eccezionale. Grazie a quel tipo di approccio e ad un forte fermento sociale, nella musica, ma in generale in tutti i settori – artistici e non – sono state sviluppate idee straordinarie. Mi sento di paragonare quel particolare periodo a una sorta di Risorgimento, a differenza di quello attuale, che non posso che definire come un’era di grande Decadenza: morale, culturale ed economica. Sono convinto che rimarrà ben poco di quello che oggi viene prodotto in campo musicale, e non solo. Non è colpa di nessuno: come negli anni ‘60 e ‘70 il fermento sociale di cui accennavo prima ha enormemente contribuito alla creazione di grandi capolavori, l’odierna mancanza di ideali scaturisce purtroppo l’effetto contrario. Il momento storico predilige infatti l’approccio “usa e getta”, sia dal punto di vista della produzione, sia per quanto riguarda l’utilizzo del lavoro completato. E l’opera musicale non fa eccezione.
Prima di salutarci, volevo chiederti un’anticipazione sui tuoi progetti futuri.
Ho prodotto l’ultimo album di Ornella Vanoni, uscito il 10 settembre, che sta andando molto bene e ne sono molto contento. Ho intenzione di produrre anche uno degli autori di questo album, Lorenzo Vizzini, un ragazzo giovanissimo molto promettente. Ho nel cassetto un paio di progetti personali, ma preferisco non anticipare nulla, per il momento.
Ringraziamo Mario Lavezzi per la disponibilità e per la piacevolissima chiacchierata che ha avuto con noi. Potete continuare a seguire le sue numerose attività nel mondo della musica sul sito www.mariolavezzi.com.
Flavio Talamonti