Il problema di questo articolo è se dire in maniera ipocrita quanto siano bravi i Fine Before You Came e io li adori. O dire la verità. Perché la verità può far male. Anche se non è una verità assoluta, ma la mia verità. Ma questo è anche il fine ultimo della critica musicale, per cui mi sbilancerò: il concerto dei Fine Before You Came è stato uno dei concerti più noiosi, frustranti e opprimenti a cui abbia mai assistito. E non c’entrano neanche i Fine Before You Came, che hanno suonato da dio, quanto un certo modo di rapportarsi alla musica e allo stare al mondo.
Il problema fondamentale dei FBYC è avere problemi. Non sto parlando del fatto che tutti i loro testi siano ad alto contenuto deprimente, quanto della loro attitudine ad utilizzare la musica come la propria sessione privata di psicanalisi. Le proprie paturnie le si possono scrivere anche su un diario, non si è tenuti a fare canzoni.
CANZONI. Questa è una parola importante. Ai FBYC manca completamente una forma-canzone. E questo non perché sia voluto (e anche se lo fosse, è una cosa vecchia come il cucco), ma perché è l’unico modo pratico per dare uno spazio adeguato ai testi. Quindi la questione è questa: da un lato, i nostri eroi non hanno la voglia nemmeno di fare entrare due parole in un briciolo di metrica; dall’altro, che il punto focale, qui, non è scrivere canzoni, ma dare un sottofondo musicale alle paturnie di chi scrive le parole. Nei FBYC tutte le strutture, i tempi, le mezze melodie girano intorno ai testi, con il risultato di non far risultare incisivi né la parte musicale né quella lirica. Non c’è una vera e propria ricerca musicale. Lo stesso discorso è valido per gli Offlaga DiscoPax: se vuoi scrivere un racconto siediti al computer e fallo, non metterci una base musicale in sottofondo per poi dire che è musica. La musica è un lavoro di manovalanza, di cura, e di certo non è sufficiente fare due accordi e infilarci due parole neanche in rima. Stai tentando, in quel caso, di fare della letteratura musicata. Se vuoi fare roba del genere, vai a un reading di poesia e fatti accompagnare con la chitarra.
Nella musica leggera ci sono regole e canoni, che puoi anche stravolgere, ma che sono sempre al centro del gioco. Puoi anche decidere di rivoltare gli standard del pop, ma è sempre con quegli standard che hai a che fare. I FBYC non hanno standard, ma sono solo il tappeto sonoro per quello che potrebbe essere un buon racconto stampato. Perché, ça va sans dire, i FBYC senza Lietti, sarebbero un ottimo complesso di musicisti, ma adatti soltanto a suonare in pub di provincia, non certo a riempire il Monk, come hanno fatto il 21 aprile.
L’unico personaggio irrilevante dal punto di vista musicale, è anche quello attorno a cui ruota tutto il circo. E se i malesseri di questo frontman così ingombrante sono il vero centro gravitazionale di tutta la produzione dei Fine Before You Came, allora la domanda sorge spontanea: ma non è che per caso, Lietti non fa musica solo per il gusto di farla, ma per dare sfogo ad una più che evidente mania di protagonismo? Se le sue pippementali sono l’unica base su cui si regge l’intero baraccone, allora il sospetto è più che fondato. Per carità, non sto accusando nessuno. Ognuno fa musica per le ragioni che vuole. Ma se è giusto il ragionamento che faccio, snaturare tutto quanto il processo creativo della musica leggera solo per dare risalto ai propri malesseri, non è un’operazione disinteressata e implica una assoluta mancanza di rispetto per il mezzo espressivo che si è scelto di usare. Puoi farlo, ma non puoi pretendere di farla essere musica.
Eppure la gente li ascolta e il Monk era pieno. Quindi c’è da parlare anche di contenuti, della sostanza di questi malesseri, se si vuole capire veramente il fenomeno. I FBYC sono un gruppo scomodo perché ti mette di fronte a quei fantasmi interiori che hai sempre tentato di sopprimere. Ma si tratta per l’appunto di fantasmi, pensieri non reali, e il meccanismo identificativo nelle liriche di Lietti riesce solo fino a un certo punto. Lietti è un po’ come quell’amico istrione che spara un sacco di cazzate e a cui dai ragione solo perché non ti senti in grado di contraddirlo. È un abile affabulatore e anche a me, distaccato come ero dalla sua visione artistica o quello che è, veniva da dire “hai ragione, è proprio così”, per poi domandarmi a fine concerto a cosa cazzo stessi pensando. Anche il pogo risentiva di questo meccanismo, stantio com’era. La gente si scontrava perché era ubriaca, o per il semplice gusto di buttarsi l’uno addosso all’altro, mai per una vera reazione emotiva alle canzoni. Come se una vocina li tartassasse chiedendo loro cosa diavolo stessero facendo. O perlomeno questa è stata la mia impressione, dato che saranno stati in dieci a pogare, durante il concerto. Verso metà esibizione il gruppo si è lasciato andare e c’è stata una sorta di apertura, come se i FBYC fossero riusciti finalmente a credere alle cose che cantavano. Perché è questa l’idea generale alla base della musica e dell’arte tutta: essere convinti di quello che si dice. Eppure, è stato solo un attimo.
Non lo so, probabilmente sono io che non capisco. Forse non ho mai provato quel malessere così profondo che emerge dalle parole e dalle chitarre dei Fine Before You Came e non riesco a immedesimarmici. Forse è per questo che mi è sembrato tutto così finto. Ma per fare musica ci vuole ben altro. E io di solito mi fido del mio istinto.
Giovanni Flamini