Arte: una parola che ha talmente tanti significati da trovarsene uno per se ogni volta; una parola che è stata abusata, regalata, interpretata, ma che sempre è tornata con ricorrenza nelle bocche di tutti.
Non è forse arte un film? E non è ugualmente arte una canzone?
In realtà, ad ascoltare i sempre pragmatici latini, la parola arte non significa altro che “braccio” (dal latino “ars” ndr), lo strumento di lavoro della razza umana più inflazionato. È appunto con le braccia, ma anche con la mente, con il cuore, e con la voce, che di solito si fa arte: così fa il musicista e così fa il regista, l’attore, il compositore, l’artigiano, il muratore e tutti coloro i quali ruotano intorno all’assurdo mondo del lavoro e della vita.
L’arte può essere tutto e niente, unica e multipla in ogni sua apparizione. Ma cosa succede quando due modi di fare arte come cinema e musica si uniscono?
Beh, la storia ci insegna che da sempre questo connubio ha, più di molti altri, segnato un’inequivocabile bellezza, una capacità rara di coesistere e collaborare.
Proprio da questi presupposti nasce il progetto Lostland di Mauro Gioia, ossia raccontare, attraverso cinema e musica, la storia di un emigrante italiano a New York, un cantante che perde la voce, lo strumento più importante di tutti per lui, per la sua espressione e per il suo lavoro. Accanto a questo personaggio ci sono altri 5 uomini, un pizzaiolo, un musicologo, un avvocato, un medico e un tassista, tutti quanti impersonati, sul set, dall’attore Burt Young. Ma oggi Lostland non si ferma al cinema e alla musica, decidendo di poter esistere anche a teatro, in scena a Napoli e a Roma.
Ma passiamo alla parte che più ci compete in questa sede, ossia alla musica: Lostland è un disco pensato e realizzato da grandi professionisti, tra i quali Mark Plati (già produttore di artisti del calibro di David Bowie, The Cure e Prince), Lisa Germano (cantautrice e musicista che ha collaborato con Billy Joel, Simple Minds e Iggy Pop), Jerry Marotta (Elvis Costello, Paul McCartney, Peter Gabriel) e Earl Sick (John Lennon, Yoko Ono, David Bowie).
Tanti personaggi importanti, tanta musica importante, ed è ovvio che gli echi di quegli anni ormai leggendari sono ben udibili nelle undici tracce che compongono l’album. È una musica elegante ed evocativa quella di Lostland, che si snoda tra un rock dal raffinatissimo sapore retrò (“Lostlands”, “What I Really Wanna Do” e “Black As Coal”) e ballate dolci come “A New Beginning” e “The Stalker”.
Tutti i suoni sono pensati e prodotti per raccontare una storia triste ma che allo stesso tempo si pronuncia con grande ottimismo sulla capacità dell’uomo di esistere e coesistere nonostante le difficoltà e la lontananza da casa.
Il viaggio che il nostro emigrante italiano compie è lo stesso viaggio che noi, cuffie all’orecchio, possiamo compiere verso una musica oramai lontana nel tempo, una musica che riesce comunque sempre a colpire con un’espressività antica, che forse abbiamo un po’ perso con gli anni, ma che dischi come questo ci fanno capire che non vede l’ora di essere recuperata: organi sussurrati, chitarre misurate ma anche regine della scena, batteria da perfetto contrappunto, calda e severa allo stesso tempo, e una voce (di Mauro Gioia) che riesce a trasmettere le emozioni e le scene della storia come fossero immagini, e che quasi potrebbe bastare da sola a raccontare quello che spesso anche il cinema fa fatica ad esprimere: i sentimenti.
Lostland è sì un album che fa parte di un progetto ben più ampio che comprende anche cinema e teatro, e che dunque è pensato per essere una parte del tutto, ma è anche un disco che, proprio grazie alla sua enorme forza evocativa, vive di vita propria, e sa regalare momenti molto intimi.
Non è mai troppo tardi per la bellezza, non è mai troppo tardi per l’arte.
Francesco Pepe