Piano for Airport, il videoclip! …no.
Esce un album, si sceglie un singolo e di quel singolo si realizza un videoclip. È la prassi. Facile. Troppo.
I Piano for Airport escono con un corto, hanno scelto di non scegliere un singolo, hanno scelto di prendere l’intero album e farne un shortfilm.
Ce ne parla Lorenzo Muto, regista de Il Polimorfo ed ideatore del video.
“I Piano for Airport hanno realizzato un ottimo disco le cui sonorità erano perfette per far da colonna sonora a qualcosa che andasse oltre il semplice videoclip. Una volta giunto il momento di scegliere un singolo per lanciare il disco è sorto il problema: tutte le tracce dell’EP a loro modo avevano qualcosa che mi attirava, il disco ha diverse anime ed era perfetto per sottolineare momenti diversi della storia che avevo in mente, ho così proposto di utilizzarle tutte e il gruppo all’unanimità ha appoggiato l’idea.
Ci siamo visti e sentiti più volte con tutto il gruppo per definire meglio la storia, che comunque è rimasta molto simile all’idea originale, ognuno però ha avuto un’intuizione particolare che ha aiutato a raggiungere il risultato finale. In genere il confronto con la band e con Davide Caucci (che produce tutti i nostri video) per me è fondamentale per capire se un qualcosa che piace a me e che visualizzo nella mia testa è recepito allo stesso modo anche da altri.
La storia non riprende i testi o almeno non direttamente, semplicemente sono partito dal concetto di un intreccio di eventi, all’apparenza non collegati, frammenti che scorrono paralleli per la maggior parte della storia ma poi arrivano a toccarsi e acquistano un senso unitario. Non tutti i pezzi del puzzle trovano posto nella storia, per un’esigenza di incompiutezza che mi diverte molto e dalla quale non mi riesce di separarmi. Ne è esempio il primo capitolo in cui un uomo di mezza età si prepara per andare a lavoro e ha un incontro/scontro casuale con quello che sarà il protagonista (Lorenzo, che è anche voce e chitarra dei PfA). L’uomo ha un ruolo ultra-marginale negli eventi successivi ma il suo contatto minimo con la vicenda mi attirava.
Mi piaceva l’idea che ogni protagonista (o almeno la maggior parte di essi) fosse all’oscuro dell’esistenza degli altri, un po’ come accade in Babel di Inarritu o comunque nei film in cui la sceneggiatura è molto complicata e prevede vari punti di vista dello stesso evento. Sono molto affascinato da questo genere di vicende e tendo sempre a far sì che “l’intreccio” sia (anche in minima parte) presente in tutti i lavori de Il Polimorfo.
Credo che il pubblico riesca a percepire chiaramente l’impegno e la passione che c’è dietro questo lavoro.
Volevamo qualcosa che fosse massiccio e curato, che pretendesse una certa dose di attenzione da parte del pubblico. La storia si sviluppa lentamente durante i 20 minuti ed è un po’ come chiedere a chi lo guarda di arrivare in fondo. Mi piaceva l’idea che una storia così lunga e un disco a nostro avviso così ben curato nei suoni potessero tornarsi utili a vicenda, così che sia ascoltare l’intero lavoro della band sia arrivare in fondo all’intreccio fosse una spinta per seguire e affezionarsi alla band.”
Francesco Galassi
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