Il “Nessun Dorma Guidonia Rock Festival” è alla sua seconda edizione, dopo l’edizione del 2015 che ha visto come partecipanti sul main stage artisti del calibro dei Il Pan del diavolo, il Muro del canto, Marta sui tubi, Kutso, Management del dolore post-operatorio e Fast animals and slow kids, in questo giugno 2016 ritorna accattivante con ben 4 giornate di musica dal vivo nella cornice della pineta di Guidonia.
L’atmosfera è già stata scaldata dalle prime due serate che hanno visto sul palco musicisti come i Sick Tamburo, Voina Hen, Giancane e molti altri.
Il Teatro degli Orrori finisce il sound check e Pierpaolo Capovilla e compagni si aggirano nel backstage.
Giacca nera e camicia rossa, bicchiere di vino bianco in mano e sigaretta nell’altra, così ci accoglie Pierpaolo nel camerino (in questo caso un gazebo) del TDO.
Emanuele: State suonando molto in questo tour estivo, molti festival e molto pubblico diverso in ogni zona d’Italia. C’è un posto dove particolarmente vi sentite a casa?
Pierpaolo: Ieri sera suonavamo a Vascon, un paese nel Trevigiano, ad un festival che si è imposto nella zona, molto professionale ed organizzato in modo impeccabile, tutti molto attenti alla buona riuscita dei suoni e dello spettacolo; io a Treviso, a pochi chilometri da Vascon per l’appunto, ho vissuto tutta la mia infanzia, fanciullezza e adolescenza e per questo mi sarei dovuto sentire come a casa mia, invece non mi ci sentivo nemmeno un po’. Non so il motivo, ma non riesco mai a sentirmi davvero a casa, tantomeno nelle terre in cui ho vissuto da ragazzo. Mi sento un po’ un senza patria e questa cosa non mi dispiace neanche tanto.
E: Nei vostri brani spaziate molto con le argomentazioni, compaiono tematiche su problemi psicologici, come in “Benzodiazepina”, mentre “Lavorare Stanca” è una critica al nostro paese, a com’è adesso, per non parlare dei vari riferimenti letterari come in “Lei venne” e “A sangue freddo”; questo spaziare con le argomentazioni e poi riuscire comunque a creare un album unitario che leghi i vari pezzi, è una scelta che curate antecedentemente o che viene quasi in modo casuale?
P: Il nostro terzo disco, Il mondo nuovo, è un disco a tema, quello che una volta chiamavano concept album, che è incentrato appunto sulla figura del migrante, quindi lì c’è ovviamente una particolare attenzione letteraria, ma anche musicale: abbiamo spiato, senza esplorare troppo, un ambiente che musicalmente non era il nostro, per esempio “Skopje” contiene melodie quasi arabeggianti.
Quindi, per quanto riguarda i dischi nel loro intero, ti dico che lo spunto e la ricerca viaggiano insieme, e non come due binari paralleli ma piuttosto come due compagni di viaggio, che fra di loro discutono e litigano su di un freccia rossa. [ride, ndr.]
E: Qualche anno fa avete partecipato alla riedizione di “Hai paura del buio?” degli Afterhours riproponendo “Dea”, come mai la scelta di questo pezzo?
P: Ci sono stati proposti alcuni brani e non so dirti di preciso perché abbiamo optato proprio per “Dea” fra quelli a disposizione. Dovresti parlare con Giulio, si è occupato lui della scelta del pezzo. E, fra parentesi, il nuovo disco degli Afterhours è veramente molto bello.
E: Dopo il tour che promosse l’uscita de “Il mondo nuovo” avete riproposto live, per alcune date, quasi tutto “A sangue freddo”: come mai questa scelta? Possiamo sperare in un tour che riproponga “Dell’impero delle tenebre” o “Il mondo nuovo” oppure perché no, ancora una volta “A sangue freddo”?
P: Quelli si chiamano “tengo famiglia tour” [ride, ndr]: cosa fai se non hai un disco in uscita e devi campare per altri dieci mesi? Fai un tour del disco precedente, è chiaro. Poi se volete un tour de “dall’impero delle tenebre” iniziate a far girare la voce e qualcosa potrebbe anche uscire fuori.
E: Una domanda rivolta a te, Pierpaolo, per quanto riguarda i Buñuel: avete qualcosa pronto per il futuro, con cui riprendere il discorso?
P: Certamente, quello con i Buñuel è un progetto a lungo termine, per l’anno prossimo abbiamo già in mente di fare qualcosa, inoltre con loro, in tour, abbiamo fatto quasi 8 o 9 date di fila, in Inglese si dice qualcosa come “in the road”, ed era una cosa che non avevo mai fatto prima in vita mia. Tutte quelle date una dopo l’altra, giorno dopo giorno, sono state una bella esperienza, nuova sicuramente.
Emanuele Ippopotami
Elisa Caprasecca
La foto di copertina è di Agnese Ermacora