Notturno. Industriale. Intimo. Sussurrato. Emozionale. E ogni altro sinonimo da usare non porterebbe altro che ridondante saccenza. Il nuovo disco del cantautore menestrello elettronicamente pop più famoso d’Italia si intitola “Alone” che non è solo solitudine dall’inglese ma anche chiazza di nebbia e di polvere, macchia di vita o di luce. Rosybyndy torna con un disco intenso e ricco di se, una perenne biografia non ufficializzata perché in fondo tra le tracce si parla di cose collaterali che con il nostro menestrello non c’entrano tanto – dice lui – perché in fondo, tra le metafore e le righe di storie sicuramente lontane, ci sono tracce vive di sentori ed emozioni della sua vita. “Alone” è un disco che lascia riflettere. Ne parliamo con Rosybyndy, cantautore, o con il suo forse alter ego Luigi Piergiovanni discografico.
Rosybyndy come cantautore o come discografico?
È la verità, siamo tutti cantautori. Poi ci sono quelli con la barba bianca, fiasco del vino e sedia di paglia. E poi quello con i sequencer.
Come mai tanto tempo da “Lamoredentro” al nuovo disco?
Perché non ne volevo fare più di album dopo l’uscita del singolo. E poi comunque per i più attenti e per chi vuole andarsi a documentare, fra “Lamoredentro” e “Alone” ho fatto un disco sempre come Rosybyndy che si intitola “XAHLMH Bar”. Questo disco ha delle musiche che a me piacciono. Volevo un nome che anche nelle ricerche di Google fosse unico e il primo ad apparire. Un album di musica totale, un’altra faccia di Rosybyndy, quasi tutto strumentale, visionario e spaziale. C’è di tutto e anche di più. Ci sono pezzi che potrebbero essere una hit di Anastasia o anche pezzi più strumentali per trip psichedelici. E poi altre cose in linea con il mio passato.
“Alone” come solitudine subita o come solitudine cercata? Senza questa solitudine sarebbe uscito il disco?
Questa è una domanda che viene fatta perché il titolo inganna l’interlocutore. Un titolo bivalente. Il titolo è “Alone” come solitudine, riflessione di un periodo particolare, ma anche l’alone di una macchia, di una nebulosa in cui mi sono sentito nascosto, un rifugio e una tranquillità di un’alcova eterea e trasparente. In più mi piaceva questo titolo anche perché è interpretabile, come a dire che sono stato io da solo l’unico artefice di tutto il disco. Ho cercato molto questa bivalenza nel titolo.
Sbaglio o questa volta c’è molta più autobiografia?
Diciamo che l’album mio più autobiografico è “Il Portiere di Riserva”. Questo ultimo lavoro invece rispecchia più stati di animo forse, più che biografie. Un album basato sugli stati d’animo e sugli addii, maggiormente sugli addii devo dire…temi importanti come la morte di una moglie, oppure – parlando del dopo la vita – quando incontri di nuovo chi hai amato sulla Terra, la visione di questo alone bianco senza più problemi. È così: è un disco sugli abbandoni e sugli adii più che autobiografico. E ovviamente non tutto quello che canto sono cose che ho vissuto. Non ho perso una moglie per esempio, né tantomeno ho vissuto la morte e il suo tunnel bianco che tanto si racconta.
Tutto molto minimale. Questa volta non c’è un supporto fisico ma solo digital store. Una linea seguita da te o da tutta la Interbeat Records?
Una linea dettata dall’Euro. Una linea dettata dalla crisi economica.
In qualche forma vedremo mai dal vivo questo progetto?
“Non direi mai di no”. Non lo so. Può darsi. Mi piacerebbe anche perché ora potrei avere un repertorio tranquillo. Potrei avere dei brani tratti da tutti i miei dischi. Potrei anche fare due spettacoli diversi, uno molto cattivo e uno molto solitario. Sicuramente da Settembre in poi, sempre in posti particolari. Perché vorrei riportare la musica dove non è mai stata.
Angelo Rattenni