TOMMASO DI GIULIO + MARGHERITA VICARIO
Circolo degli Artisti, Roma – 1/3/2014
Il primo album per un artista è un passo importante, delicato, da ricordare. Per questo è giusto festeggiarlo quando il risultato è eccellente come l’esordio, vero e proprio, per Tommaso Di Giulio: il suo Per fortuna dormo poco, recensito sul numero di gennaio di ExitWell, ha compiuto un giro intorno al sole, ed è più bello e maturo che mai. Dopo l’esibizione della talentuosa Margherita Vicario in apertura, raffinata cantante e autrice curiosa e originale in un’intima performance in duo pianoforte/voce e chitarra, è il turno del songwriter romano. In un Circolo degli Artisti che sfida la partita del sabato e la pioggia, la gente non manca l’appuntamento e riempie la sala. Tommaso l’aveva promesso e non delude le aspettative: i brani, quasi tutti quelli del primo album, più qualche inedito e una sorpresa, sono tutti rivisitati, rielaborati, rivissuti.
L’attacco è dei migliori: una serie di bordoni e droni di organo anticipano una “Lievito” più gonfia e carica che sul disco, e che non perde niente in spessore. Di Giulio gestisce il palco come se fosse la sua casa e ci mostra tutte le varie facce: l’intimista in “Trasparente”, l’istrione in “Domenica: Natale” (con il finale alla predicatore gospel), il frontman pop in “Per farti un dispetto”, il cantautore in chitarra acustica nell’inedita “Musica da camera”. E c’è spazio anche per il tributo talkingheadsiano di “Psycho Killer”. Un concerto dove si può ballare, si può sorridere della sottile ironia dei brani e, in definitiva, ci si diverte per tutta la durata del concerto che sembra, purtroppo, finire in un lampo. Merito di una band affiatata e capace di gestire i tanti diversi stati d’animo delle canzoni. Abbiamo incontrato poi Tommaso per una chiacchierata sul suo passato, presente e futuro.
– Stai per festeggiare un anno del tuo album Per fortuna dormo poco. Cosa è cambiato in un anno? Quanto sei cambiato tu e quanto sono cambiate le canzoni?
Io sono cambiato pochissimo in realtà. Ma le canzoni mi sono sfuggite di mano, tant’è che le riproporremo in una veste diversa: i brani più acustici saranno molto più aggressivi. Il disco ha compiuto un anno e anche le canzoni sono diventate più mature. In un anno poi le canzoni sono aumentate: ho raccolto tanto materiale per il prossimo lavoro.
– Stasera ti proponi con una band elettrica dopo un tour per metà acustico. Qual è la differenza tra queste due pulsioni? Quali brani pensi si adattino meglio all’anima acustica e quali all’elettrica?
A differenza dei film, le canzoni sono malleabili quanto ci pare. I brani nati acustici sono drasticamente cambiati. La “Lievito” di questa sera è stata riarrangiata dopo aver ascoltato un disco dei Neurosis, ad esempio! Lo stesso al contrario: in trio acustico, paradossalmente pestiamo più sul lato punk, un po’ alla Violent Femmes. Alcuni brani in acustico si sono dimostrati particolarmente ruvidi. Col prossimo disco mi leverò dalle scatole questo problema.
– Il disco è molto vario e quasi non ci sono due brani che suonino uguali, cosa molto lontana dal cantautorato tradizionale. Ma tu sei davvero un cantautore all’italiana o un artista pop? E come ti approcci all’arrangiamento di un brano?
Mi piacciono i cantautori però non credo nel termine “cantautore”, gli preferisco l’inglese songwriter. Non mi sento un cantautore nel senso italiano, men che mai un artista pop.
Non credo poi nell’esistenza delle band: ne esisteranno dieci con più di due persone a concepire la musica. Al contempo ne amo il concetto: l’ossatura della mia band è la stessa da cinque anni e abbiamo un rapporto sinergico. Se cambiassi uno dei membri il suono cambierebbe di conseguenza.
Sì, cambiare genere da canzone a canzone può penalizzare un nome non blasonato. Max Gazzé mi disse una volta che il musicista è come il surfista: qualsiasi successo è un’onda e il resto della sua carriera è rimettersi sulla tavola per cercare la prossima. Ma forse semplicemente ascolto troppa musica: nel disco d’esordio ho voluto mettermi alla prova e gestire tanti registri diversi e ne sono abbastanza soddisfatto. Però i singoli estratti son tutti diversi tra loro e chi li apprezzava rimaneva sorpreso quando poi sentiva il disco.
– La maggior parte dei testi delle tue canzoni è scritta in prima persona. Quanto di te metti in ogni brano?
Ho deciso scrivere canzoni in prima persona per metterci la faccia. È una responsabilità notevole perché raccontare un personaggio in terza persona è più facile. Ma ho scelto, con il cuore, di confessarmi. Sono le mie canzoni più sincere, a volte al limite dell’incomunicabilità, quando una cosa è talmente diretta che spesso bisogna stare attenti a quanto si mette in gioco. Nel prossimo lavoro ci saranno anche canzoni in terza persona!
– Ma se “le canzoni allegre non servono a niente”, quelle tristi a cosa servono?
Quelle tristi sono importantissime: non invecchiano mai, quelle allegre spesso sì. Quando sei allegro non hai bisogno di canzoni allegre, perché lo sei già di tuo. La canzone triste invece ti consola e t’accompagna. Adoro poi fare canzoni musicalmente molto allegre con un testo tremendo, come “Domenica: Natale”, che sembra i Belle and Sebastian e dove invece il protagonista muore massacrato e dato alle fiamme.
– Molto spiazzante in effetti. È uscito in questi giorni il videoclip di “Voglio un monitor”, molto bello, dalla grafica da videogioco 8 bit. C’è una volontà quasi nostalgica di andare a riscoprire certe tematiche del passato, nella tua musica?
Non a caso un brano per il nuovo album, “Novanta”, è programmatico in tal senso: negli anni ’90 ci fu una certa cultura molto più amata oggi che allora. Da un lato è bello quando si recuperano cose ingiustamente bistrattate, dall’altro è la conferma della difficoltà di molte persone, me compreso, di adattarsi alla propria epoca. Più il soggetto è poco incline all’omologazione e più avrà difficoltà ad adattarsi. Sia in “Voglio un monitor” sia in “Novanta” si parla di un individuo che vorrebbe far parte della moltitudine, ma non ce la fa, non capisce come entrare nel dialogo, bloccato tra il volerne far parte e il rimanere indipendente nel proprio pensiero. Il finale del video denota tutta la dualità della canzone e del disco. Le contraddizioni sono la mia più grande fonte di ispirazione.
– Se dovessi scrivere a metà la canzone della tua vita, la canzone che riassuma tutto quello che sei, c’è qualche musicista, di qualsiasi genere e di qualsiasi tempo a cui chiederesti di aiutarti per la musica e per le parole?
Mi prenderei Bowie per la produzione artistica e come co-paroliere forse Manlio Sgalambro. Sto attuando una sorta di “semplificazione” dei testi; la maturità vera è riuscire a dire cose potenzialmente intelligenti e interessanti ma comprensibili a tutti. Forse allora Battiato stesso, che come paroliere che è diventato più inaccesibile con Sgalambro. O David Byrne. Tutti tra i miei artisti preferiti.
– È chiaro comunque che nel tuo futuro c’è già un disco nuovo, no?
Sì, ci sarà questo progetto folle: un concept album in disco doppio. E inoltre proseguo il tour in Sicilia. Tour che continuerà poi in Europa per tre date, al momento, tra Bruxelles e Parigi.
– Grazie mille per la chiacchierata! Ricordiamo che potete trovare tutte le informazioni su Tommaso Di Giulio sulla sua pagina facebook (CLICCA QUI) e potete comprare il suo disco su iTunes (CLICCA QUA)
Riccardo De Stefano
(Ringraziamo Barbara Guardabassi per le foto messe a disposizione)
Bellissimo concerto e bell’intervista! E chi vuole può anche visitare e mettere “mi piace” sulla sua pagina!
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Grande Tommaso! Lo vidi in apertura dei Marta Sui Tubu solo voce e chitarra e già mi aveva colpito!
Di Giulio merita il successo! <3