Ci affascinano sempre questi esordio che arrivano quando ormai le candeline da spegnere sono tante, quanto bastano almeno per parlare di maturità e mestiere. E in effetti, per quanto sia un esordio, questo primo disco eponimo dei Magazzino San Salvario è davvero un lavoro ben fatto e suonato, ricco di maturità che si manifesta nel saper dosare il classico e la personalità, la semplicità di un bel pop rock italiano che non si risparmia critica e satira come neanche una splendida featuring con Federico Sirianni, cantautore di alta scuola. E cosa aggiungere a questo? La passione di questo suono suonato arriva tutta e fa la differenza…
Il rock, il pop e la canzone d’autore. Se vi chiedessi dove mettereste casa?
Credo che piazzeremmo la nostra tenda esattamente all’incrocio di questi tre mondi… Che poi alla fine onestamente si tratta solo di etichette che cerchiamo di appiccicare, quando invece la musica è molto più fluida. Proprio per questo personalmente amo molto gli artisti “Cross Over” in grado di sfuggire alle definizioni e di spaziare attraverso i generi, a partire dai più grandi di tutti, cioè i Beatles, ma come loro molti altri. Per quanto ci riguarda nello specifico, musicalmente noi siamo figli degli anni Novanta, e dunque nei nostri pezzi puoi cogliere le tipiche sonorità graffianti di quel periodo, dal grunge al britpop, seppure opportunamente rivisitate. Poi però c’è la parte autorale legata ai testi, e qui il riferimento va ovviamente alla grande tradizione del cantautorato italiano a cui siamo molto legati, e qui l’elenco dei nomi da fare sarebbe lungo, da Battiato a Dalla, passando per Edoardo Bennato. Su questi due binari viaggia la musica dei Magazzino San Salvario.
Vi chiedo questo perché la presenza di Federico Sirianni in un singolo così leggero e scanzonato dimostra che tutto vale tutto… o sbaglio? Cioè in fondo ogni cosa è da cantautore ed è rock allo stesso tempo…
Hai perfettamente ragione; basti pensare a Marracash che vince la targa Tenco!!! E torno a ribadire che non credo nelle rigide distinzione fra i generi. Con Federico siamo amici da più di vent’anni. Lo considero uno dei migliori cantautori del panorama italiano. Circa un anno fa, nel corso di un evento nel quale abbiamo suonato insieme Lui ha sentito il brano “Europa chiama Italia” e se n’è subito innamorato; da persona intelligente e spiritosa qual è, ne ha colto lo spirito ironico con cui mettiamo in ridicolo quel tipico provincialismo dell’italiano medio nel porsi di fronte al Mondo. Così sia sul disco, come pure nel video, abbiamo voluto giocare insieme. Trovo davvero magnifico l’effetto straniante che produce la presenza di un artista del peso di Sirianni in un pezzo come questo, che comunque credimi, è leggero e scanzonato solo in apparenza e nelle sonorità, ma che in realtà nasconde una acuta satira di costume.
Cosa c’è dentro il Magazzino San Salvario? Avete cose del passato accatastate per far spazio al nuovo o cose che non passeranno mai di moda?
Prima ancora che il nome del gruppo, “Magazzino San Salvario” è un luogo fisico e reale, situato nel cuore dell’omonimo quartiere torinese. È proprio qui che a partire dal gennaio 2020 abbiamo iniziato questo nuovo progetto musicale. Durante la pandemia, quando tutto pareva irrimediabilmente interrotto, il Magazzino è diventando per noi come una seconda casa, nonché un rifugio per l’anima. All’interno ci trovi quindi una parte importante della nostra vita più recente. Devi capire, che questo non è solo un gruppo di gente che suona insieme, ma una sorta di famiglia fatta di persone che si vogliono bene, unite da un legame fortissimo. Dentro al Magazzino ci trovi tanti scatolini che contengono tutte le nostre esperienze passate, sia quelle di vita che pure quelle musicali, che abbiamo deciso di condividere. Non ti so dire cosa sia “vecchio”, oppure “alla moda”; ti posso dire che tutto ciò che abbiamo fatto e che faremo è stato e sarà sempre “vero ed autentico” perché parla di Noi.
E c’è il futuro nelle nuove scritture che verranno? Elettronica, forme e ricerche nuove?
Personalmente sto attraversando un periodo creativo pazzesco; sto producendo tantissimo materiale nuovo e credo che alcuni dei brani di recente composizione siano tra le migliori cose che abbia mai scritto. E quindi non vedo l’ora di tornare al più presto in studio. Detto questo però, non credo proprio che ci evolveremo verso chissà quale nuova forma di sperimentazione e non prevedo nemmeno un uso eccessivo dell’elettronica, che è una modalità molto interessante ma che non ci appartiene. Io credo ancora fortemente nella “forma canzone” tradizionale; penso che un bel pezzo, per definirsi tale, debba avere una idea melodica originale e un testo con un messaggio intelligente e che debba funzionare anche se eseguito solamente con chitarra e voce. Tutto il resto, e cioè la produzione, i suoni, virtuosismi e sperimentazioni varie, per quel che mi riguarda sono solo “sovrastruttura”; elementi certamente importanti che servono ad abbellire, ma che non cambiano la sostanza delle cose e l’essenza profonda di un brano.
Ho come l’impressione che questo disco sia più una liberazione, un gioco, un punto di incontro… che un mestiere e un modo di fare scena…
Un gioco direi proprio di no, perché nonostante le apparenze facciamo tutto in modo molto serio e scrupoloso. Una liberazione invece assolutamente sì. Questo disco è stato scritto di getto e ha sancito il nostro ritorno alla musica attiva dopo diversi anni. C’era dunque una gran voglia di farlo uscire al più presto e questa urgenza si avverte nel fatto che le dieci tracce presenti nell’album presentano una grande varietà di sonorità e di atmosfere, così pure di argomenti trattati. Ci sono brani intensi con testi personali ed introspettivi, quali ad esempio “Cose che non ti ho mai detto”, “Oceano Mare” o “Voglia di vivere”; ci sono due canzoni d’amore come “Addominali” e “L’altra metà”. Altre più decisamente rock con chiaro intento di critica politica e sociale, come “Pesci Rossi”, “Cavernicoli” o “Abecedario”, ed infine brani più dichiaratamente ironici come “Chiamami Alfredo” e la già citata “Europa chiama Italia”. Una ricchezza e una spontaneità che a me piace molto, ma forse per il prossimo disco potremmo puntare ad una produzione un po’ più omogenea ricuperando un po’ più di quel “mestiere” al quale facevi riferimento.