Gurfa è un’antica parola araba che significa “una manciata”. Inizia così la descrizione di questo disco che davvero ti comunica una forma che somiglia proprio ad una manciata… un qualcosa di poco, come fosse una misura di pugno, di mano, di esempio. Ecco: è come fosse un esempio che usi come quando cerchi di spiegare la vita. “Gurfa” è un disco bellissimo, fatto di tantissimo lavoro sulla voce e quasi solo si questa… che poi il resto è un corredo ma anche un sottilissimo confine tra il mondo reale e quello dei pensieri. Marilena Anzini ci regala un viaggio di grandissima sensibilità…
Marilena Anzini arriva oggi a questo nuovo disco… forse il più importante per te o sbaglio?
Non saprei dire se è il più importante, ma di sicuro è un album di cui sono molto felice. Mentre il precedente CD (Oroverde-2020) è stato scritto e realizzato un po’ di getto e in circostanze complicate perché in piena pandemia, per “Gurfa” io e Giorgio Andreoli – co-produttore di entrambi i lavori – ci siamo presi più tempo e il risultato credo sia un album un po’ più curato e complesso, sia a livello di arrangiamenti che di sound. Pur continuando il percorso di Oroverde, caratterizzato dall’ampio spazio dato alle parti corali che si intrecciano con la forma canzone, abbiamo invitato anche diversi ospiti che hanno aggiunto particolari sonorità ad alcune canzoni, come il basso di Michele Tacchi e la batteria di Fiamma Cardani in Details e Ink and tea, il didgeridoo di Michele Fiarè e la chitarra dodici corde di Giovanni “Giuvazza” Maggiore in Nuvole e rose, il violoncello di Giulia Monti in Due Febbraio e il canto difonico e la voce di Oskar Boldre in Marea. Per quel che mi riguarda posso dire di essermi sentita più sicura e a mio agio sia nella scrittura che nelle scelte musicali, e le idee più chiare mi hanno portata ad osare un po’ di più; quindi sì, un album significativo per me, di consolidamento e anche di nuove aperture: infatti sono già proiettata al futuro e sto scrivendo nuove cose, e spero che l’album più importante sia il prossimo!
In un momento storico in cui il suono digitale diventa l’unica ragione possibile, tu parli di acqua, di voce e di spiritualità… cosa ti spinge in questa direzione contraria?
A dire il vero per me non è una direzione contraria ma semplicemente quella verso cui mi viene naturale andare. Non sono una fan della novità a tutti i costi, e non mi ritrovo nell’idea che, per essere innovativi, si debba per forza sperimentare con l’elettronica, con gli effetti o con qualcosa di “artificiale”. C’è il rischio che la ricerca di originalità diventi un po’ invadente e faccia perdere di vista il fatto che ognuno di noi è già originale di suo dal momento che non c’è un essere umano uguale all’altro; alla fine, per essere davvero unici, basta essere se stessi. Più facile a dirsi che a farsi, certo, ma credo che la ricerca della propria autenticità sia l’avventura più affascinante che valga la pena vivere, e che la musica e il canto possano essere una mappa straordinaria da seguire. Sì, è una ricerca che ha a che fare anche con la nostra sfera spirituale, e la cui direzione porta forse a una maggior naturalezza, forse anche a una certa semplicità. Del resto, quando si ha davvero sete, non c’è niente di meglio di un bel bicchiere di semplice acqua!
Con la musica si può guarire ma anche divenire altro… secondo te che potere ha che non ancora conosciamo?
Le proprietà terapeutiche della musica sono ormai note e vengono riconosciute anche in molti ambiti un tempo scettici: in parecchi istituti sanitari, per esempio, alle normali cure ospedaliere si affiancano oggi pratiche di musicoterapia, e questa è una bella notizia. E davvero la musica ci trasforma: è la legge fisica della risonanza che fa sì che un corpo possa essere messo in vibrazione quando viene colpito dalla sua stessa frequenza, dal suo suono. È quello che succede quando un cantante rompe un bicchiere di cristallo con un lungo suono uguale a quello che emette il tintinnio del bicchiere; il cristallo entra in vibrazione e, poiché è molto fragile, si rompe. L’essere umano non è così delicato da andare in frantumi, ma subisce comunque l’effetto dei suoni, così come quello delle parole: si usa l’espressione “mi risuona” per esprimere un senso di appartenenza a una canzone – ma anche ad un’idea o ad una persona – come se ci si riconoscesse in essa. E la cosa più interessante è che la vibrazione, una volta che è sintonizzata, può essere sviluppata in altre direzioni: verso la leggerezza e l’espansione, o verso la gravità e la contrazione. La musica ha il potere di cambiare lo stato degli esseri umani: è un aspetto di cui forse non si parla abbastanza in campo artistico, ma esiste e apre molte interessanti domande sulle responsabilità degli artisti e degli operatori culturali.
Bellissimo il video di “Belli numeri” … di cosa parliamo e dove soprattutto?
Belli numeri è un’ode a quei numeri che ci fanno fare i conti con quello che non possiamo contare: in particolare l’infinito (l’otto rovesciato) e il numero Phi, quello che rappresenta la proporzione aurea e che, come il Pi greco, è formato da un numero illimitato di decimali dopo la virgola (1,618…). La sezione aurea è una proporzione presente in natura praticamente ovunque: nelle conchiglie, nei fiori, nel corpo umano…ed è stata ripresa anche nell’arte perché è caratteristica di tutto ciò che noi percepiamo come bello. Anche la bellezza ha un numero, insomma: non è straordinario? Un numero che mette insieme la precisione e la finitezza di una proporzione con un concetto inafferrabile dalla ragione come la bellezza e, più ancora, come l’infinito! Il video, ideato e realizzato da Luisa Raimondi, è stato ovviamente ambientato in natura, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso: nell’acqua, nel verde, nella luce…dove è possibile far riposare la mente, dove non c’è nulla da comprendere, nulla da contare con precisione, solo bellezza da contemplare e da cui lasciarsi incantare…
Il corpo è un altro elemento per te? E che tipo di elemento narrativo?
Certamente il corpo è un elemento fondamentale dal momento che ci permette di vivere tutte le nostre esperienze: attraverso i sensi, possiamo percepire la realtà che ci circonda in ogni suo meraviglioso dettaglio, e anche la realtà interna, ricca tanto quanto quella esterna, forse anche di più. Il nostro corpo è un vero e proprio strumento che ci rende in ogni momento consapevoli di essere vivi! Ed è anche un vero e proprio strumento musicale il cui suono è la voce umana: quando cantiamo, siamo contemporaneamente esecutori e strumenti, un po’ come se un pianista fosse anche il suo pianoforte. Nel canto, le corde vocali danno inizio alla vibrazione che poi si trasmette nel corpo, mettendolo in risonanza. Si tesse allora un dialogo affascinante e raffinatissimo tra la nostra voce e le parti corporee più o meno disponibili a vibrare, e il suono della voce ci aiuta, con sensibilità e pazienza, a scoprire e a sciogliere eventuali ostacoli, raccontandoci anche molto di noi stessi, delle nostre emozioni, dei pensieri e delle attitudini: il corpo non mente. Osservare il nostro corpo che vive e il modo in cui reagisce a ciò che succede fuori e dentro di noi, è per me una fonte di ispirazione inesauribile, e la voce è una guida perfetta in questa esplorazione.