– di Naomi Roccamo.
È ottobre, un banale giovedì che è un giovedì diverso per me, pronta per fare la prima intervista della mia vita direttamente da camera mia, quella in cui ho passato la mia benedetta quarantena e la stessa in cui vivo da ormai un anno.
Aspetto di parlare del nuovo singolo Lucchetti in uscita il 9 ottobre (Neverending Mina, distribuzione Artist First) con il suo autore, Leo Pari, e penso a quanto sia bizzarro parlare con qualcuno per la seconda volta come se fosse la prima, soprattutto se la prima volta è stata totalmente rimossa dall’altra persona.
Il suo nome lo conosciamo bene: è lui ad aver affiancato i TheGiornalisti suonando durante i live, lui ad aver scritto quella bella canzone che è Matrioska e tante altre hit italiane, lui ad aver prodotto l’amatissimo Superbattito di Gazzelle e ben sei dischi da cantautore.
Ciao Leo! Io sono Naomi, questa è la prima volta che intervisto qualcuno e spero non sia troppo evidente. Tu non lo sai, ma abbiamo una foto insieme scattata nel 2017 a Roma, avevo appena scoperto Spazio (penultimo album fino ad ora, ndr). Ti chiedo subito, quante cose sono cambiate da quel disco?
Ciao! Davvero? Allora no, non può considerarsi una prima volta!
Spazio è un capitolo a parte, credo sia normale, uscendo un disco ogni due tre anni mediamente, che il contenuto sia diverso e adeguato a come era la mia vita in quel momento.
Fra Spazio e l’album che uscirà c’è Hotel Califano, elettronico, diverso, un disco che ho creato per far ballare. Il disco che uscirà, invece, di cui non posso dire il titolo, riprende Spazio in qualche modo, forse è un po’ più pop, la differenza sta nelle tematiche. Spazio è lo spazio, perdona il gioco di parole, pieno di riflessioni, di concetti inerenti al sociale e all’umanità riflessiva. Questo è un disco squisitamente pop, si parla sempre di amore, è anche un disco molto rivolto al femminile, come le canzoni uscite fino a ora avranno lasciato intendere.
Spazio è il nome di un altro album recentissimo, credo saremo d’accordo sul fatto che Ariete sia una promessa musicale romana (me anche italiana) pur avendo solo diciotto anni. Io adoro entrambi gli Spazio. Non è, ovviamente, la prima volta che c’è il tuo nome dietro a quelli che si sono rivelati poi grandi artisti, Gazzelle è l’esempio più lampante di ciò e spesso si tratta di persone più piccole della tua età.
Come ci si sente ad avere quarant’anni, abitare lo stesso panorama musicale di questi artisti giovanissimi e condividerci scena e pubblico? Ti senti, anche per il tuo essere un producer, un po’ un papà che vede crescere i piccolini?
Sì, ho notato che ha chiamato il disco Spazio, l’ho ascoltato, chissà se è una citazione!
Beh forse non proprio il papà, magari lo zio [ride ndr]. A me piacciono i giovani, mi piace stare coi giovani. Gioventù è sinonimo di novità, di qualcosa che non conosco, ma in un senso sia positivo che negativo, essere giovani non vuol dire necessariamente fare cose fighe. Sicuramente si tratta di qualcosa di diverso, linguaggi e idee diverse, l’arte è viva e si rinnova in continuazione. Con Flavio (Gazzelle) abbiamo creato Superbattito ma anche adesso sto lavorando al disco nuovo di Galeffi, Vipra, dei Viito, di cui ho firmato qualche brano, ho collaborato anche con Manfredi, sicuramente ti ricorderai di Cuffiette o Noi meno tu.
Sicuramente mi sento meno carico di responsabilità, è ovvio, mettersi in gioco in prima persona è diverso da affiancare qualcuno in fase di scrittura: provo a “vestire” l’artista, io stesso mi paragono a un sarto, perché provo a fargli indossare un abito che gli stia bene addosso e forse quella è la parte del mio lavoro che mi piace di più.
Ti seguo sui social. Hai indubbiamente una passione per l’umorismo e lo dimostri quotidianamente, specialmente in ciò che scrivi su Facebook. Pensi che quel livello di comunicazione personale e anche ironica abbia un effetto sui tuoi lavori? Esistono un Leo Pari social e uno musicista?
Sì, è uno spazio in cui do sfogo alle mie battute, devo scriverle per forza da qualche parte, ma penso questa ironia si colga anche nelle mie canzoni. Osservazioni ironiche, anche un po’ bislacche, fa proprio parte del mio modo di essere, chi mi conosce sa che mi piace divertirmi, quindi non farei differenza fra i due Leo, sono sempre io ma in contesti diversi.
In Hotel Califano questa ironia si coglie di più rispetto ai dischi precedenti…
Sì probabilmente perché i primi erano dischi abbastanza sentimentali. C’è un primissimo album, introvabile, cioè LP, dalla sonorità già molto elettronica, che produssi da solo in cameretta con Windows 98 fai conto [ride, ndr], il mio primo lavoro da autore, in cui mi improvvisai produttore, smanettai coi campionatori, coi sintetizzatori: ecco, sono tornato lì da Spazio in poi, a quel sound. In mezzo c’è questa parentesi se vogliamo più psichedelica dei miei dischi Resina e Sirena.
Parliamo di Lucchetti: è una canzone che si sofferma su una serie di cose non dette e conseguenti pensieri insistenti. Mi chiedo, quanto peso, da cantautori, si dia al dialogo nelle relazioni e quanto, invece, si riservi solo ai testi delle canzoni. Ci sono delle cose che preferisci non dire per poi infilarle esclusivamente nelle canzoni che hai in mente?
Questo in realtà no, ma perché io sono una persona estremamente loquace e mi piace dire le cose che voglio dire. Pero determinate cose non ti vengono nei momenti in cui avesti voluto dirle e allora perdi l’occasione, perdi il momento e quelle cose non puoi più dirle e ti rimangono dentro, diventano un peso inestricabile, da qui il lucchetto. Poi però mentre scrivevo mi son reso conto che i lucchetti, anche grazie a Moccia, sono nell’immaginario simbolo di amore eterno, allora qui il significato viene stravolto, anzi mi piace definire questa canzone come tutto il contrario di un film di Moccia! C’è anche una citazione a 3MSC [ride, ndr].
L’ho subito associata ai pensieri che ti assillano durante le giornate a casa, quindi a una situazione di pseudo comfort, magari, come anche tu dici esplicitamente nel testo, durante un temporale, o magari si tratta di pensieri figli dei mesi che abbiamo passato chiusi in casa. Lucchetti è nata in quei giorni “tranquilli”?
No l’ho scritta di recente, il testo risale a prima della quarantena. Però sì, indubbiamente quando l’ho scritta pioveva, la suggestione viene da quello.
La tua discografia ha un tocco vintage. La cover di Lucchetti, diciamocelo, fa pensare a quella di Una giornata uggiosa di Battisti.
Ti faccio un po’ la domanda di prima ma al contrario, questa volta facendo riferimento a quelli che ci sono stati prima di te: oltre all’influenza, evidente e probabilmente inevitabile, che effetto ha avuto e ha su di te la consapevolezza di avere un’eredità di cantautorato alle spalle così potente? È più un peso o un onore?
Sì [ride, ndr], fa assolutamente il verso a quella.
Allora, intanto volevo far notare che il temine cantautore è tornato in auge, fino a qualche anno fa ti faceva pensare a qualcosa di vecchio, infatti si tendeva a usare più termini come “musicista” o “artista”. Sicuramente lo dobbiamo anche a personalità come Calcutta, Gazzelle, che hanno iniziato a definirsi cantautori, il termine è ritornato di nuovo contemporaneo.
Per quanto riguarda l’eredità no, non penso sia un peso, la musica per me è come un stanza piena di Lego, i pezzettini che c’erano prima di te li prendi e li metti insieme e speri di crearci qualcosa di figo. Ma anche in questa copertina mi sono permesso di citare il più grande di tutti a cuor leggero; è qualcosa a cui sono legato, ho fatto delle foto e questa con l’ombrello mi ha ricordato quella copertina “uggiosa”.
Il 17 ottobre a Largo Venue, a Roma, ci sarà l’ultimo concerto in acustico. Cosa dobbiamo aspettarci da quella data? Qualcosa stile Toppeiro?! (è un balletto eseguito occasionalmente nei live di Leo, per chi non lo sapesse, ndr)
Sì, è l’ultimo. Poi mi fermerò un attimo, vi lascerò con l’album e si spera che poi ci sia la possibilità di presentare i brani live in maniera diversa, diciamo. Ma no, niente Toppeiro in realtà, tutto il contrario anzi! Quello faceva parte del pacchetto Hotel Califano; all’estero va molto questa cosa fra i cantanti, ogni periodo e ogni album ha un preciso look. Io la vedo molto così. Soffro di personalità artistiche musicali [ride, ndr], le battute sul palco però non mi abbandoneranno mai, eh! Adesso sono più serio, ma niente esclude che un domani possa tornare quel Leo lì.