– di Michela Moramarco –
Lauro è il nuovo album di Achille Lauro. Presentato dal singolo “Solo noi” e dalla ballad “Marilù”, l’album non è un capolavoro.
Ma è il momento di cercare di capire di cosa si tratta. Partiamo dal principio.
Lauro, come si evince dalla copertina, è scritto con una sorta di apocope, ovvero con una “O” che è scritta in rosso, quasi sfuggente dalla parola stessa. Ora, tralasciando i significati che ognuno può attribuire soggettivamente alla questione, non si può non dire che Lauro sia una parola parlante. A metà fra il petrarchesco e il latineggiante, “lauro” potrebbe far venire in mente il concetto di incoronazione poetica, che sin dall’antichità era simboleggiata appunto da una corona di alloro, all’epoca detto “lauro”. O, andando ancora più in profondità, si potrebbe pensare al mito di Apollo e Dafne e dunque a un vero e proprio significato di metamorfosi.
Ma questa è un’altra storia.
A parte questa scelta di “titolo”, volente o nolente, Achille Lauro, presenta un album che potrebbe essere letto in più modi, un po’ come il plot di una rappresentazione teatrale.
A una prima fase di lettura/ascolto emerge il “solito” eclettismo dell’artista, ovvero una varietà di suoni e fonti d’ispirazione, che vanno dal pop, al funky, come nel brano “Latte+”, al punk di “Generazione X” al glam rock di “Pavone”. Una colonna sonora che non spicca per originalità, ma è sicuramente autentica ed eloquente.
Che piaccia o no, Achille Lauro ha reso manifesto il suo serbatoio di conoscenze e influenze artistiche, un manifesto che include varie sfaccettature del suo essere tutto e il contrario di tutto.
Come si è già accennato, ascoltare Lauro è un’esperienza che va oltre sé stessa. È come andare a teatro. Non nel senso che si ha assistito ad una finzione, ma nel senso che bisogna mettere in conto una cosa, nella maggior parte dei casi: sulla scena vengono rappresentati vulnerabilità e tormenti interiori. Una sorta di “incendio ad una recita”.
Si potrebbe definire come una rappresentazione catartica, che libera dalle passioni dell’animo e anche un po’ dalla paura della solitudine: “Ma poi siamo uguali, soli e uguali” canta non a caso Achille nel brano “Come me”.
Quindi, la musica è un filtro, ma forse meglio dire un mezzo con il quale viene veicolato un messaggio, ovvero che una tragedia individuale può essere raccontata e assurgere al livello di tragedia della collettività.
Chiaramente per sortire questi effetti, in cui è in gioco l’animo umano, bisogna saper scegliere le giuste parole. Esattamente come nel gioco dell’impiccato.
Achille con Lauro segna la sua incoronazione a poeta, ma probabilmente sta all’ascoltatore definire se si tratta di una vocazione o di un’incoronazione a poeta maledetto. Una cosa è certa: qualsiasi cosa succeda, Achille è un nome che fa pensare ad un’icona mitologica, sin dai tempi degli antichi greci. E se Lauro non è un album che pone l’artista sul monte Olimpo della discografia italiana, probabilmente è perché non ce n’è bisogno.
Lauro, in conclusione, è un album costituito da tante piccole scintille, come un fuoco spontaneo, senza limitazioni di tempo e spazio. Con la possibilità di rendere fertile il terreno dell’anima di chi l’ascolta, o anche di lasciare solo cenere.