– di Naomi Roccamo –
Il 18 dicembre 2020 è stato pubblicato Gran Riserva (iCompany, distribuito da Artist First), un concentrato musicale di sensazioni firmato Diego Rivera.No, non stiamo parlando del pittore messicano, ma del nuovo progetto artistico di Carmine Tundo, uno dei cantautori del duo La Municipàl. Forse queste premesse sono necessarie per farvi capire di chi si tratta, ma non rendono giustizia alla figura poliedrica che è questo artista, giustamente frammentato in più nomi e suoni. Ognuno di essi ci racconta qualcosa di Carmine, in un modo ora più dolce, ora più frenetico, sempre diverso dall’altro.
Ciao Carmine! O forsei dovrei dire Diego…
Ciao! Carmine, Carmine va benissimo.
Iniziamo proprio da qui. Cos’ha Diego di diverso da Carmine e viceversa? Immagino ci sia un collegamento col Diego di Frida, ma dicci di più sulla scelta di questo alter ego – possiamo definirlo così?
In realtà ho scelto questo nome perché era il nome di uno zio che non c’è più al quale ero molto legato, quindi ho utilizzato il suo nome per questo progetto. Carmine e Diego sono la stessa persona; in ogni progetto, che sia quello de La Municipàl o qualsiasi mia altra band, si tratta di una sfaccettatura della mia personalità. Sono una persona un po’ complicata, lo riconosco, quindi tutti questi alter ego mi aiutano un po’ a capire chi sono. Ho bisogno di raccontarmi in tutti questi modi.
Hai un’anima che non entra in una sola persona!
Sì e poi mi annoio: ogni anno e mezzo sento proprio la necessità artistica di sperimentare con qualcosa di nuovo e ricominciare da zero e questo posso farlo al meglio tramite i miei studi di registrazione. Un modo anche per studiare e provare nuove tecniche di registrazione e missaggio, essendo io stesso un produttore.
Nelle nuove canzoni di Gran Riserva viene fuori molto del Salento, hai creato immagini di colori e odori, complice sicuramente la copertina del disco che sa di vino. Cosa rappresenta per te la tua terra? E che posto è Santa Maria al Bagno?
La mia terra è qualcosa che cerco sempre di raccontare all’interno dei miei dischi, raccontandone soprattutto il contrasto, quell’amore e odio che contraddistingue un ragazzo che come me ha scelto di vivere al sud. Molti amici vivono e lavorano al nord, alcuni miei familiari son dovuti andar via da questa terra e ciò mi ha colpito molto, quindi vivendo qui e provo sempre a parlarne. Le sceneggiature sono spesso inevitabilmente ambientate qui. Santa Maria al Bagno, invece, questa località balneare sullo Ionio, è un posto sempre pieno di turisti d’estate e perde un po’ quel fascino tipico dell’inverno, che io ritrovo dopo. Essendo una persona solitaria prediligo quel fascino cupo dei posti che da vuoti danno il meglio di sé.
È un disco che parla della Puglia, ma il bello sta nel fatto che potrebbe parlare di qualsiasi altro posto in Sud America o da un’altra parte del mondo. Molto più esotico del percorso di Nocturnae Larvae Vol. 1 e 2..
Sì, sicuramente. Ho provato a creare un ponte immaginario proprio fra il Salento e Il Sud America e a ricreare quelle sonorità tipiche con chitarre classiche e percussioni e scavando a fondo dentro me stesso ho capito che con il fatto che mio padre da giovane ha vissuto in Brasile ho proprio assorbito il suo legame con quella terra e spero in futuro di poterlo approfondire in prima persona. Ho già in programma di andare a registrare il secondo album proprio li per avere delle sonorità più autentiche e collaborare con gli artisti locali. Ovviamente adesso con la pandemia sembra impossibile, ma speriamo per il meglio (ride, ndr).
Chi è Marina, direttamente dalla canzone Il negozio di scarpe? Si tratta di un personaggio immaginario?
Le storie sono sempre un po’ edulcorate e pittoresche, ho cercato, proprio come in un acquerello, di lasciare sfocati i contorni di questo album e dare all’ascoltatore la possibilità di viaggiare con l’immaginazione. Ecco, diciamo che nessuno ha capito, forse per colpa mia che ho dimenticato di inserire una frase nel testo, che Marina è in realtà un uomo, quindi c’è anche questo tassello che si incastrerà con le storie dei prossimi album, come un’unica storia lunga. Non voglio svelare altro però.
Infatti abbiamo visto quanto ti piace collegare le tue personalità fra loro. Il tuo percorso con La Municipàl, ad esempio, continua in parallelo, lo vediamo anche nei featuring presenti nel disco, che tra l’altro ne contiene anche alcuni con Carmine Tundo. Deve essere proprio importante per te specificare di quale parte della tua anima si tratta!
Sì (ride, ndr), è un giochino che mi diverte fare! Mi prendo un po’ in giro per cercare di far combaciare le mie diverse anime. Magari alcune cose di un album possono essere capite solo tramite il quadro generale di tutti gli album passati e futuri. Io la considero una grande opera unica e in futuro spero di riuscire a realizzare un album unico che li contenga tutti.
Come se fossero degli easter egg!
Sì! Poi lascio volutamente degli errori o dei riferimenti perché c’è sempre un significato che mi riporterà all’album successivo. Anche se dal punto di vista sonoro possono essere molto diversi fra loro, perché appunto mi piace sperimentare e andare in nuove direzioni continuamente.
Diamo un po’ di voce agli instrumental, Chiaro di Luna, Aspettando Hydra, Maracuja, e Nadir. Hanno una loro storia?
Quelle in realtà sono le mie tracce preferite, fanno viaggiare l’ascoltatore perché non è per nulla guidato dal testo. Introducono delle nuove storie, come nelle serie tv si alternano scene e ti portano in un contesto nuovo, introduco una nuova scena e permetto a chi ascolta di dipingere un paesaggio, trasportandolo in un posto nuovo. Sto provando a fare questo in tutti i miei album, dalla prima all’ultima traccia mi piacerebbe che l’album fosse ascoltato dall’inizio alla fine. Alcune tracce ascoltate singolarmente perdono valore narrativo, in un contesto più ampio hanno decisamente più senso e diventano necessarie.
La parola Nadir compare anche nell’ultima traccia, Sarà come morir. Ci sei particolarmente legato?
Sì, è proprio come se chiudessi un cerchio. Nella mia visione circolare è come se la storia cominciasse e poi si chiudesse, però il libro può anche continuare all’infinito, chi lo sa. Quell’inizio e fine che sono collegati ma sono comunque ciclici, un po’come nella serie tv Dark.
Torniamo a La Municipàl. Come mai avete scelto di intraprendere il possibile percorso diretto a Sanremo? Vi trovavate nella categoria “Nuove Proposte”, un po’ paradossale come artisti già conosciuti vengano inseriti lì e nemmeno ben valorizzati o capiti secondo me…
Diciamo che io sono sempre stato scettico a riguardo, anche perché avevo già partecipato a Sanremo Giovani e in generale non ho un buon rapporto con le telecamere. Credo però che a un certo punto bisogna cercare di vincere le proprie paure, io ho sempre avuto un grande blocco verso cose del genere, ma è un anno particolare e il nostro settore è fermo, quindi lo consideravo una sorta di vetrina per pubblicizzare gli album in uscita, senza farmi troppi problemi. Porti al pubblico il tuo mondo che può essere capito o meno, ma è un rischio che è parte di questo lavoro. L’importante è creare musica in maniera coerente a prescindere dai modi in cui la si promuove, che spesso non dipendono nemmeno dall’artista. Ci sono diverse strade. Comunque alla fine sono contento che non siamo andati.
Questa è l’ennesima prova di come Sanremo sia solo uno dei modi per farsi conoscere oggi…
Sicuramente a noi ha penalizzato molto il dover rimanere fermi, abbiamo fatto dai quattrocento ai cinquecento live ed è stato strano. Ci siamo dedicati ad altro. Ad esempio abbiamo fermato la sigla di Magazzini Musicali, programma di RaiDue, abbiamo aperto tante porte e preso alcuni percorsi che non avevamo mai considerato.
Ti faccio l’ultima domanda, mi sembra giusto toccare tutti i progetti che ti coinvolgono: mi parleresti un po’ della tua band, i Nu Shu?
Una delle cose più divertenti che faccio. Lì suono la batteria male e canto (ride, ndr). Mi diverto perché poi ad ogni concerto mi sfinisco, essendo una cosa molto fisica. La collego più alla mia parte animale, rispetto a quella romantica o cerebrale degli altri progetti. Siamo riusciti a finire un disco che dovevamo chiudere da quattro-cinque anni, un’altra cosa positiva della pandemia, e non vediamo l’ora di pubblicarlo, anche se è un genere molto di nicchia e particolare. Fa parte di questa mia grande torta.