Tredici.
Tredici come le “Reasons Why” di Hannah Baker, come la maglia di Alessandro Nesta, come il numero preferito di Taylor Swift; Tredici come i mesi dell’anno, le Sfere del Drago e gli anni che trascorreranno prima di rivedere l’Italia ai mondiali di calcio maschile.
Oppure, Tredici come le buone ragioni per cui vale la pena ascoltare la musica di un artista, accompagnate da qualche nota biografica e da diversi pareri personali (giustamente) discutibili. Un tuffo nelle personalità notevoli della scena urban italiana, sempre più mainstream e popolare per diversi motivi; direi almeno Tredici.
– di Luca Guerrini –
1: IL BEL MATTE’
Bello e bravo.
Una penna sopraffina, una cultura non indifferente, un’arroganza alimentata dalla consapevolezza di essere fra i migliori. In sintesi, Ernia, nome d’arte di Matteo Professione, ragazzone milanese ormai stella polare della scena rap italiana.
Legatissimo alla propria origine nel QT8 (più precisamente Bonola), Ernia è stato ed è tutt’ora fra i protagonisti assoluti della scuola meneghina. La sua origin story, infatti, si allinea e sovrappone con quella di altri artisti della zona: come Rkomi, suo amico, anche Matte’ venne spronato e aiutato ad emergere dal compagno di pomeriggi in giovane età Mario Tedua Molinari; il Mowgli di Genova aveva probabilmente intuito l’enorme potenziale dell’amico milanese, poi maturato in un rapper dalle rime taglienti, dai concetti chiari, spesso duri e mai scontati – testimoniati perfettamente in “Gotham”, brano simbolo della carriera discografica di Ernia.
2: MONDO PICCOLO
Agli inizi degli anni Dieci del ventunesimo secolo, il destino di Ernia si incrocia con quello di altre personalità note e notevoli del panorama urban italiano: forma, infatti, il collettivo “Troupe d’élite” assieme a Fawzi (produttore), Maite (voce femminile) ed un certo Ghali, nome quantomeno familiare per gli appassionati di musica hip hop italiana.
L’esperienza con i TE pare essere subito positiva: arriva la firma per l’etichetta indipendente Tanta Roba, fondata da Gue Pequeno e DJ Harsh, lungimiranti nell’intrasentire in quei quattro pischelli le vibrazioni che avrebbero di lì a poco cambiato la musica italiana.
In un decursus icariano, tuttavia, la vita discografica dei Troupe D’èlite si spense presto, all’alba del duemilaquattordici, dopo un EP di infimo successo e vari litigi interni agli elementi del gruppo e, addirittura, dell’etichetta.
Musicalmente parlando, i TE suonano esattamente come ci si aspetta suoni un gruppo di teenager entusiasti ed arroganti: non c’è coerenza fra le varie tracce dell’EP, le tematiche sono terra-terra, ai confini col banale, le produzioni sono piuttosto limitate e mai osano… tranne in una traccia.
“Run away”, prodotta da Icaro(!) Tealdi, è uno schiaffo sonoro al resto dei brani della Trope, eccellentemente accompagnata dalle cattivissime strofe di Ghali ed Ernia e dall’intermezzo di Maite. Ovvio che l’inesperienza si senta, però, in mezzo a tutto questo baccano eufonico, la si nota molto meno.
3: PETER PANS
Quattordici – Sedici.
A Matteo bastano due anni per riprendere la propria Professione (chiedo scusa) e, dopo aver firmato per Thaurus e aver pubblicato alcuni singoli, dà alla luce “No Hooks”, EP di sole quattro tracce che tuttavia bastano per dare prova del talento di Ernia.
“No Hooks” è un passo fondamentale della musica rap italiana, giunto appunto nel ricco duemilasedici; rispetto ai lavori dei colleghi allora più in ascesa (Sfera, Ghali, Tedua, Izi), le differenze sono nette: Ernia, come stile, è molto più vicino al filone del rap puro, oscuro all’uso dell’autotune, meno focalizzato sulla creazione di ritornelli orecchiabili (No Hooks, appunto) e pieno, pienissimo di cose da dire, che si traducono in barre lunghe e veloci che sputano parole infuocate.
Matteo ce l’ha con tutti: coetanei, vecchi amici, nuovi nemici, colleghi, persone, stati, sistemi – eppure, in mezzo a tutta questa rabbia, c’è spazio per una carezza, sempre amara, ma dal tono più basso rispetto alle urla delle prime tre tracce.
“Neve” è probabilmente il primo capolavoro uscito dalla penna di Ernia. C’è dentro tutto: storie di famiglia, di cuore, di amicizia, di critica sociale e di disagio da sorpassare.
Il primo, vero grande passo di una carriera poi superlativa.
4: IL BUIO OLTRE LA SIEPE
Il battesimo ufficiale di Ernia come apostolo del rap italiano avviene nel duemiladiciassette con l’uscita di “Come Uccidere Un Usignolo”. Già dalla scelta del titolo, possiamo capire sia la qualità dell’immaginario da cui Ernia attinge, sia il messaggio generale del disco: CUUU non è altro che la traduzione letterale del titolo originale de “Il Buio Oltre La Siepe”, romanzo di Harper Lee pubblicato negli anni ’60 ed intitolato, appunto, “To Kill A Mockingbird”. Lee, nel proprio libro, racconta di ingiustizia, discriminazione e pregiudizi nei confronti dei più deboli – così Ernia prende in prestito questa chiave narrativa per costruirci attorno un album da paura. Un brivido che diventa successo, vista anche la certificazione di disco di Platino conquistata più tardi, ma soprattutto alla luce del grande range di emozioni catturate da Professione in ogni brano.
L’Ernia di CUUU è completamente sbocciato rispetto all’immaturo ragazzetto visto con i Troupe e anche in confronto al crudo e talentuoso rapper di No Hooks: nelle barre non c’è solo cattiveria, ma anche racconto, protesta, cultura e quel tocco di arroganza che contraddistingue lo scrivere del Bel Matte’.
La title track è il fiore all’occhiello di questo album: mezza skit, mezza riflessiva, mezza dura, un capolavoro insensato, in tre metà, rappate alla perfezione dall’Usignolo di Bonola.
5: CONSIGLI DI IGIENE PERSONALE
Il successo di “Come Uccidere Un Usignolo” è straripante a tal punto da meritare una riedizione nemmeno sei mesi dopo l’uscita. Nel Novembre del duemiladiciassette, dunque, esce “Come Uccidere Un Usignolo/67 Edition”, raccolta di SEDICI brani (gli otto già editi più altrettanti completamente nuovi) dal titolo che strizza l’occhio al futuro lavoro del rapper Milanese (68). La bravura di Ernia è qui sottolineata da quanto bene i nuovi aggiunti si inseriscano al fianco dei brani preesistenti: la vibe, le tematiche, i toni sono coerenti con il concept dell’album e anche con la personalità di Matteo.
Di notevole ed in aggiunta rispetto a CUUU, la 67 Edition porta due featuring: “Tradimento (Il Traditore)” con Mecna e, soprattutto, “Disgusting” con Guè, pezzo diventato simbolo dell’Ernia arrogante e tagliente e che ha contribuito alla di lui ascesa.
6: MAL DI GOLA
Una delle eredità più importanti lasciate da “Come Uccidere Un Usignolo” è il legame fra Ernia e Rkomi: dopo la collaborazione “Madonna”, i due notevoli milanesi si sono ritrovati nel duemiladiciotto all’interno di “Ossigeno – EP”, raccolta di brani firmata da Mirko, nella traccia “Acqua Calda e Limone”.
Una base tranquilla ma iconica, un ritornello sentito e orecchiabile, un Rkomi in stato di grazia portano Ernia a realizzare quella che lui stesso definisce una delle sue migliori strofe. Prendendo come riferimento l’immaginario di paese dove i bimbi giocano a pallone per strada, sotto i severi sguardi degli anziani, Matteo elabora metafore che ci riconducono sempre al tema del giudizio gratuito, severo, tanto affrontato in CUUU. Non si tratta, questa, di una ripetizione, bensì di una sintesi ultima di un concetto che sta particolarmente a cuore alla penna di Ernia.
7: AZIENDA TRASPORTI MILANESI
Divenuto ormai protagonista della scena rap Italiana, Ernia decide nel duemiladiciannove di raccontarsi attraverso un autobus, o meglio, l’autobus che per tutta la gioventù lo ha portato da Bonola a Milano centro e che, quindi, lo ha accompagnato (anche letteralmente) nel corso della sua crescita. “68” è dunque il titolo del secondo album in studio di Matteo, che si distingue tantissimo rispetto a CUUU e relativa riedition: dall’adozione di diversi stili musicali (la title track suona funky, altri brani ammiccano a sonorità quasi walzeresche) alla decisione di virare dal tema del pregiudizio e della crudeltà in favore di un racconto sincero di chi è e cosa fa Ernia. C’è tutto: passato remoto, prossimo, presente e futuro, racchiusi rispettivamente in racconti autobiografici, riflessioni recenti, conquiste in via di raggiungimento e ansie per il futuro. Ernia in “68” apre completamente la propria persona all’ascoltatore, creando una raccolta di brani vicina a sé stesso e a ciò che vive. I temi sono poi disparati: oltre alle situazioni emotive già citate, non mancano la sfera del cuore (sublimemente rappata in “Tosse (la fine)” e “Sigarette (l’inizio)”, lo storytelling, l’affermazione di un’amicizia o un po’ di sano e congruo bragging.
“68” è Ernia, da testa a piedi, da penna a voce – probabilmente, il suo miglior lavoro.
8: SCENDERE AL CAPOLINEA
Anche per “68” Ernia dà alla luce qualche mese più tardi una ri-edition, chiamata “68 ‘Till The End”, contenente le tracce originali più sette nuovi brani. Questa volta, lo stile dell’espansione risulta leggermente diverso da quello dell’album “puro”, con canzoni più sbarazzine e meno vicine alla persona di Ernia. Due sono i pezzi che rimangono impressi: “Certi Giorni”, in collaborazione con Nitro, rilasciato in anticipo rispetto a “68 TTE”, e “Ti Ho Perso”. Quest’ultimo è uno fra i brani più belli e carichi emotivamente nel repertorio di Ernia: che sia perché racconta di un amore perduto, di errori di gioventù, o forse perché le batterie “coi singhiozzi” della base sono particolarmente efficaci, non ci è dato saperlo; quello che è certo è che “Ti Ho Perso” è la massima espressione di quello che Ernia sa scrivere e cantare quando trascinato da un’emozione forte. THP è il mix giusto fra barre veloci e ritornello rallentato, quasi cantato, senza mai, tuttavia, risultare banale o lagnoso.
“68 ‘Till The End” è da ascoltare anche solo per questo brano.
9: BOCA JUNIOR – RIVER PLATE
Con “68”, Ernia pare aver raggiunto la propria maturità discografica, nonostante un percorso artistico relativamente giovane. Ma come è possibile superare una raccolta così ben scritta?
Mistero.
Già, perché il successivo album del Bel Matte’, “Gemelli”, non riesce nella complicata missione di superare “68”: rispetto al predecessore, infatti, questo è un album dalle sonorità mostruosamente pop, che stonano con l’immaginario a cui Ernia aveva cercato di aggrapparsi con i primi lavori. C’è una volontà chiara da parte dell’artista di aggiungere al proprio repertorio canoro la “bella voce”, il “bel ritornello”, che però snatura completamente il disco.
Ovviamente, “Gemelli” non è spazzatura, anzi: le classifiche lo accolgono benissimo e diventa in poco tempo l’album di maggior successo di Ernia. Sarà più per le belle strofe (che comunque troviamo) o per i ritornelli melensi? Essendo “Superclassico” la hit del disco, la risposta pare chiara…
10: YES HOOKS
La nuova direzione artistica di Matteo Professione si conferma con “Gemelli – Ascendente Milano”, edizione espansa di “Gemelli” che incorpora nella tracklist sei nuovi pezzi. Anche in questi nuovi capitoli della discografia di Ernia, fa strano percepire come Matteo si sia spaccato in due: da un lato, il rapper arrogante che ne ha da dire a tutti ed è il migliore di tutti, dall’altro, l’anima estremamente melensa e radiofonica che funziona da un punto di vista commerciale. Questa seconda personalità ha dei pregi, va ammesso, e si vedono chiaramente in pezzi come “Ferma a Guardare” feat. Pinguini Tattici Nucleari, una canzone che per essere resa bellissima, tuttavia, ha avuto bisogno del sostegno vocale di una band affermata nel panorama indie.
11: HAI PAURA DEL NUOVO? DOVRESTI.
“Ma come è possibile che Ernia abbia raggiunto la massima popolarità con Gemelli se non è nemmeno il suo terzo miglior lavoro?”
La risposta è semplice: mentre con “68” Ernia aveva raggiunto la vetta della sola scena rap, con “Gemelli” è arrivata l’apertura al pubblico generalista, quello delle radio, delle canzoni “pulite”, del sole-cuore-amore. Una audience vastissima e poco attenta, pronta ad ingurgitare qualsiasi pezzo contenga almeno una frase o situazione spammabile su Instagram.
Risulto volutamente polemico ed esagero solo perché, personalmente, trovo questa direzione una delusione: chi scrive, infatti, è un brontolone-super-fan-del-vecchio-Ernia, che poco digerisce i suoi svolazzi canori perché consapevole della potenzialità devastante custodita nelle barre di Matteo.
Ed il brontolio continua: si fa Duemilaventidue, esce “Io Non Ho Paura”, quarto album in studio per Professione, intitolato e copertinato in diretto riferimento al capolavoro di Ammanniti.
INHP è un Gemelli capitolo III, nei pregi e nei difetti: c’è ancora l’Ernia tagliente e capace di far riflettere ed emozionare, ci sono ancora la spocchia e l’arroganza che lo contraddistinguono, ma annacquate in una vasca di pop ed emozioni che risultano dannatamente distaccate dalla realtà. È proprio questo il principale distinguo fra il rappato di “68” e quello da “Gemelli” in avanti: Ernia pare cantare di situazioni talmente generiche e con stile talmente banale che l’ascoltatore non si sente più rapito, collegato all’artista. Ciò non importa se ad ascoltarti c’è un occasionale, ma un fan di lunga data riesce a cogliere questa differente vibrazione già dal primo ascolto. “Io Non Ho Paura” risulta quindi un album vuoto, registrato giusto per giustificare le ore passate in Toscana e negli USA da Ernia per concepirlo.
Eppure, “Tutti Hanno Paura”, la prima traccia dell’album che vanta il feat. di Marco Mengoni, sembrava aprire così bene il disco.
12: SOGNI D’ORO
“Io Non Ho Paura” non è il miglior disco di Ernia. La maggior parte delle tracce suona vuota, quasi commerciale. I pezzi arroganti stridono, poiché il resto dell’album non giustifica questa sensazione di superiorità. Eppure, in mezzo a tutta queste critiche, c’è un brano che ammutolisce chiunque. Per bontà di scrittura, per bellezza della base, per l’elevato carico emotivo. Perché è un pezzo in cui Ernia mette tutto se stesso e racconta. Racconta di sé, della sua famiglia, di un momento difficilissimo appena affrontato.
In “Buonanotte” troviamo le parole sussurrate di un papà al proprio bambino mai nato, colme di sentimenti difficili da decifrare: dalla tristezza all’amore, dall’affetto all’amaro. Un brano che non sono ancora riuscito ad ascoltare senza sorprendermi con gli occhi lucidi subito dopo, che testimonia le grandi capacità liriche di uno dei più grandi artisti che la scena urban italiana può vantare.
13: CONCLUSIONE
Io ci credo ancora: Ernia è uno degli artisti più forti usciti da Piazza Duomo e lo può ancora dimostrare. Che sia con un pezzo solo o con un album intero, ogni singola sillaba che Matteo proferisce merita di essere ascoltata, rap, pop, jazz o tarantella che sia.
Il presente ci mostra un Ernia pop, spinto verso il canto e il mainstream; la carriera di un artista, tuttavia, è lunga, e fa avanti e indietro, proprio come un autobus.
Nel caso, sapete già quale prendere.