Se Twinkle Twinkle di Ilaria Graziano e Francesco Forni fosse davvero una rivisitazione della popolare ninna nanna, la ritmica spinta di questo album sarebbe un lontano miraggio. Accettando il gioco, si potrebbe dire che «di mille ce n’è» di anime: anglosassone, francese ed italiana. Plurilinguismo che ricalca la tendenza di questo mondo: quello di relegare l’italiano all’intimità cantautorale e di regalare la piacioneria alle altre lingue. La scelta consapevole di Graziano e Forni cavalca l’onda di fenomeni e verità ormai assodati: l’inglese è l’intoccabile linguaggio dell’entertainment, il francese, grazie a Stromae, è diventato la lingua del cantautorato ritmato; l’italiano la lingua dell’ascolto. Chains fa cantare sotto la doccia; La glace et la neige fa agitare compostamente e Passaggi la si ascolta in silenzio. Le voci sono pulite ma la chitarra acustica è battuta e violentata come farebbero i bluesmen più scafati. Questa incoerenza si fa apprezzare: è come mandare a quel paese qualcuno parlando come Poliziano, ma gesticolando come la bad bitch di un ghetto.