– di Giacomo Daneluzzo
foto in alto di Andrea Venturini –
Una settimana fa sono stato allo showcase della cantautrice Hu, in occasione dell’imminente uscita del suo nuovo singolo, intitolato “Millemila”, uscito per Warner Music Italy venerdì scorso. Ho avuto il piacere di intervistare Federica Ferracuti – questo il vero nome di Hu – prima della sua esibizione presso la sede di Warner Music Italy, a Milano.
Ecco che cosa mi ha raccontato!
Sta per uscire il tuo nuovo singolo, “Millemila”: come stai? Sei emozionata?
Sto vivendo un periodo molto complesso, forse il più intenso della mia vita, pieno di cose bellissime. Adesso te le racconto tutte.
Dimmene almeno una.
Sto lavorando al mio album, ho scritto questo singolo e ho finito un tour di circa cinquanta date, il tour di Emma. Inoltre mi laureo tra dieci giorni…
In che cosa ti laurei?
Composizione, in Conservatorio. Quindi è un periodo davvero intensissimo.
Complimenti! Il titolo del tuo nuovo singolo, “Millemila”, è un’espressione particolare, molto caratteristica di questi tempi e di questa generazione: a partire da questo, qual è il tuo rapporto con il linguaggio e con la scrittura?
Mi piace molto questa domanda, non mi è stata mai fatta. Questa canzone l’ho scritta in cinque minuti. Per me scrivere è un flusso di coscienza: metto il piano e la chitarra, inizio a cantare e butto tutto giù; “Millemila” mi è uscita così. Poi ci ho riflettuto, perché quando scrivo io mi auto-analizzo attraverso quello che tiro fuori. Ogni mia canzone ha un messaggio, un tema. In tutti i miei vecchi singoli c’era un tema, nell’ultimo era quello del kintsugi [“End” feat. M.E.R.L.O.T., ndr]: attraverso riparazione di un oggetto che si è rotto si dà nuova vita a quella cosa. Allo stesso modo “Millemila” segna il mio pensiero di eterno. Ho sempre avuto due sogni: vivere in eterno e ricordarmi ogni giorno che si vive una volta sola. Chiaramente non si può vivere in eterno, ma mi sento eternamente grata alla vita. Ho questa sensazione, ogni volta che mi sveglio, che non chiamo felicità, ma gratitudine.
Anch’io ho spesso questo pensiero del voler vivere in eterno.
Quando siamo orgogliosi di quello che viviamo non ci basta mai. “Millemila” non è una storia d’amore, ma la storia della ricerca di qualcosa che sia eterno. «Passeranno millemila anni e mai noi» potrebbe riferirsi a una persona, a una canzone o a qualsiasi cosa.
In “Neon” ho notato dei riferimenti a Bologna: che rapporto hai con questa città?
Io sono marchigiana, però “Neon” parla di una persona che ho conosciuto a Bologna ed è ambientata a Bologna. I Giardini Margherita mi hanno segnato.
A proposito di questa collaborazione con M.E.R.L.O.T. in “End”, com’è stato lavorare con un altro artista, rispetto al tuo solito lavoro sugli altri singoli?
Io amo lavorare in team, da sempre. Ma è sempre stato difficile trovare qualcuno con cui scrivere le cose che “hai”: è anche difficile comunicarle all’esterno. Per quel singolo volevo e avevo bisogno di collaborare con qualcuno. Avevo bisogno di fare questo step, questo passaggio.
Ho conosciuto M.E.R.L.O.T. a Sanremo e in realtà in quell’occasione è una delle persone con cui ho legato di meno, perché sono una persona estremamente solitaria e anche lui lo è. Quando mi hanno proposto i nomi per il feat. ho nominato subito lui, perché pur essendo probabilmente la persona più lontana da me, in quel momento, era la persona più vicina a ciò che ero io quando sono partita con la musica, in una dimensione di chitarra e voce molto intima. Ci siamo trovati molto bene e ne è venuta fuori “End”.
Da quello che dici sembrerebbe che ci sia un bello stacco da questa dimensione intima da “chitarra e voce”, a quello che poi è il risultato del tuo lavoro: i tuoi singoli hanno un lavoro di produzione consistente, molto “spesso”. Come si arriva a quest’altra dimensione?
Ieri notte sono andata a dormire alle due perché dovevo correggere e consegnare la tesi di laurea. Nella mia tesi ho affrontato proprio questo discorso. Avevo bisogno di capire da dove venisse quello che faccio e ho scritto un saggio sulla fenomenologia della musica dalla fine dell’Ottocento, passando per Debussy, l’impressionismo e il romanticismo, fino ad arrivare a oggi.
Ho scoperto che la musica elettronica è nata quando è stato inventato e diffuso il telegrafo. Ho fatto un viaggio nella storia della musica, che mi ha portata fino alla nascita della trap, ai giorni nostri, ma quello che poi è stato l’oggetto della mia analisi è stato il contesto musicale: la musica si è evoluta di pari passo con l’evoluzione tecnologica. Penso che il contesto sia una cosa fondamentale quando qualcuno immagina e produce quello che fa.
A un certo punto nella storia della musica c’è stata una crisi, quando sono nati i primi sistemi per ascoltare la musica a casa propria: il compositore non sapeva più se comporre la musica per gli spettatori presenti all’esibizione o per il pubblico che l’avrebbe ascoltata a casa. Leggendo queste cose, ho pensato che quando scrivo musica mi concentro sull’essenza della struttura e della dinamica del testo, con chitarra e voce o piano e voce. Una canzone, per me, deve funzionare nella maniera più essenziale possibile. Poi quando una base funziona va bene in qualsiasi modo tu decida di vestirla. Credo che il segreto per la comunicazione sia la semplicità e la chiarezza del messaggio. Quando scrivo mi chiedo sempre: «Che cosa sto raccontando e a chi?» e poi decido che vestito mettere alla canzone.
Oggi, per questo showcase, ho deciso di portare delle canzoni chitarra e voce, “End”, e piano e voce, “Occhi Niagara”. Ho dato nuova vita a questi pezzi; per me cambiare un arrangiamento di una canzone e i suoi strumenti vuol dire reinventarla. Per questo quando mi esibisco mi piace dare una nuova alle mie canzoni. La produzione è ciò che viene stampato, che arriva sulle piattaforme di streaming, ma quello che conta è il contesto in cui ti trovi. Sono una persona molto curiosa.
Sei stata selezionata da Spotify per il progetto Radar Italia e il tuo percorso sembra molto ben avviato: secondo te qual è la tua cifra distintiva, quella che ha smosso l’attenzione di Spotify e quella del pubblico e della critica verso il tuo progetto artistico?
Ti darò la risposta più sincera che ti possa dare: io non mi sono mai guardata intorno. Ho sempre cercato la mia dimensione musicale e di scrittura, facendomi ispirare da tante influenze “antiche”, non attuali, ma soprattutto cercando la mia dimensione di comunicazione e il mio obiettivo è fare qualcosa che ti ricorda tante cose e non assomiglia a niente. Credo che questo sia il mio punto di forza.
Dopo la mia intervista Hu continua a rispondere alle domande di altri giornalisti.
Finalmente arriviamo al mini-live, in cui l’artista esegue delle versioni acustiche e minimali di “End” e di “Occhi Niagara”, rivelandosi anche un’ottima chitarrista e pianista, per poi passare al suo nuovo singolo, “Millemila”, presentato in anteprima in questa sede.
«Non sono mai stata emozionata come questa volta per un’uscita», racconta prima di suonare “Millemila”, «“Millemila” segna un momento di passaggio artistico alla fine di un tour bellissimo».
L’esibizione è breve ma molto intensa (è disponibile sulla pagina Instagram dell’artista, a questo link, un video dell’evento), in una saletta presso la sede di Warner Music Italy in cui è stato proiettato un suggestivo cielo stellato che ricopre interamente tutte le pareti: la voce potente e delicata di Hu risuona nello spazio siderale e ci lascia addosso una sensazione di incanto.