– di Martina Zaralli.
Foto di Danilo D’Auria –
Nessuno sopravvive al mutismo delle proprie paure. Racchiudo in questo personale pensiero il primo full-lenght de La Scala Shepard, Bersagli, uscito il 25 ottobre scorso per Goodfellas, in cui la disperazione porta in sé, e con sé, qualcosa di sorprendentemente salvifico. Mi trovo ad ascoltare e a scrivere di un disco non facile da digerire. E penso che questa possa essere un’opinione condivisibile dai più.
Già dalla prima traccia – Potesse esplodere questa città – Bersagli suona l’evidenza di una dichiarazione di intenti: essere la franchigia delle nostre angosce, delle nostre illusioni, delle nostre paranoie. Tutto ciò che ci colpisce e che di tutta risposta vogliamo colpire. Dieci brani per poco più di mezz’ora: poco più di trenta minuti in cui il tempo e lo spazio perdono la loro normale dimensione, mentre le parole e i suoni spingono con consapevolezza verso la maieutica delle ossessioni più torbide e viscerali.
Sintesi ben riuscita tra il cantautorato nostrano e il rock di matrice britannica, il lavoro de La Scala Shepard ha segnato dunque in positivo l’autunno 2019 della nuova scena musicale capitolina e si appresta ad esordire sui palchi, con la prima data/evento del prossimo 18 gennaio al Largo venue di Roma (qui i dettagli).
Chitarre distorte e drum machine, sorrette dall’intreccio delle voci di Claudia Nanni e Alberto Laruccia, si uniscono alla penna chirurgica dei testi, e come un filo di Arianna portano l’ascoltatore fuori dal labirinto di specchi interiori. Perché una luce c’è. È il romanticismo delle scelte, che passa dalla frenesia di Camera con Vista ai ritmi incalzanti di Paranoia, a quelli più distesi di Dall’altra parte. Affinché la vita non sia solo un Giro di giostra, ma un Capolavoro.
Bersagli arriva dopo due precedenti EP, Di Passaggio (2015) ed Eureka (2016), è stato registrato nelle sale del Cubo Rosso Recording tra l’inverno del 2018 e l’estate del 2019, prodotto e missato da Igor Pardini con la supervisione artistica di Gianmarco Dottori.
Accompagniamo la fine del decennio con la prova di una formazione che fa così centro – è proprio il caso di dire – scrivendo il suo nome tra quelli di coloro che hanno veramente qualcosa da dire.