– di Martina Rossato –
Il 4 marzo, lo sappiamo tutti, è (o sarebbe stato) il compleanno di Lucio Dalla. Non tutti però hanno la fortuna di visitare la sua città ed entrare in casa sua in un giorno così simbolico.
Ieri ho avuto l’onore di entrare nel mondo di questo artista geniale ed eclettico, non solo attraverso la rassegna musicale a lui dedicata, Ciao – Rassegna Lucio Dalla (qui trovate tutto quello che è successo durante la serata, che andrà in onda in seconda serata su Rai 1 il 6 aprile), ma facendo un giro nella sua ultima dimora bolognese, dove ora ha sede la Fondazione Lucio Dalla.
Scomparso troppo presto appena tre giorni prima di compiere sessantanove anni, Dalla non solo è stato un musicista immenso, capace di farsi portavoce della musica italiana nel mondo, ma anche un amante dell’arte in tutte le sue sfaccettature, e le moltissime opere d’arte nella sua casa lo dimostrano. Non amava essere codificato come collezionista – d’altronde non amava essere etichettato in alcun modo – e per questo la sua galleria d’arte a Bologna si chiama proprio No Code. Per entrare in casa di Dalla bisogna essere pronti ad accogliere un pezzettino di Lucio dentro di noi attraverso quello che le opere che ha collezionato, e di cui le pareti sono tappezzate, inevitabilmente trasmettono, come pezzettini minuscoli di un puzzle gigante e complesso, ricostruendo l’interiorità e la personalità di un artista così grande.
Questo racconto sarà un modo per me di imprimere il più possibile le sensazioni che ho provato camminando tra le stanze della casa e, per chi vorrà leggermi, di calpestare i parquet e i tappeti di Lucio per provare insieme a me ad avvicinarci un po’ di più alla poliedrica mente dell’artista.
Primo ambiente: la stanza del presepio
L’abitazione è stata comprata da Lucio in più momenti a partire dal 1993 e unisce più appartamenti (la casa si trova infatti all’interno di un condominio) per come erano stati divisi dalla famiglia Gamberini. La storia della casa va però molto più indietro nel tempo ed inizia nel XV secolo con la famiglia Gessi per poi essere acquistata dalla famiglia Fontana nel corso del secolo successivo. Di quest’ultima sono molte le tracce negli affreschi dei soffitti a cassettone decorati dalla bottega di Antonio Basoli e Felice Giani, che ne riportano lo stemma parlante (è spesso raffigurata infatti proprio una fontana).
L’ingresso scelto per la nostra visita è stata la porta che dà direttamente sulla così detta “stanza del presepio”. Un ingresso particolare, così chiamato perché la stanza è occupata da un grande, quasi ingombrante, presepe, posto al centro.
«Sarà tre volte Natale», scriveva Lucio. C’è un filo conduttore tra quel presepe così imponente e particolare e la personalità dell’artista. La parte superiore del presepe è infatti una vera e propria natività simile a quelle che decorano le case nel periodo natalizio. Al piano inferiore però c’è una locanda, come a dire che per Lucio sacro e profano possono (forse devono) convivere, sono due ambienti che stano uno accanto all’altro senza mai pestarsi i piedi. Lucifero stesso non era altro che un angelo caduto e anche un semplicissimo e tradizionale «Venite adoremus» può diventare «Venite a Sanremo», in questa casa.
Secondo ambiente
Lucio, ho scoperto, aveva qualcosa in comune con me: amava spostare quadri e mobili. Nella seconda stanza troviamo dunque mobili che appartenevano alla sua vecchia abitazione, dove stava con la madre: uno specchio, una poltrona e un piccolo paravento.
Per il resto, questa stanza è zeppa di opere che somigliano a Lucio, come la statua autoritratto di Luigi Ontani, immagine del narciso come testimonia la scritta sul cappello: «I celebrate myself» e le immagini che rimandano alle etichette del vino che Lucio produceva e chiamava “lo Stronzetto dell’Etna” (si dice che il nome sia stato suggerito da Carmelo Bene, probabilmente dopo che ne aveva assaggiato più di qualche sorso). Amava definire l’arte come “epidermica”, qualcosa che entra nelle persone e di conseguenza successo voleva dire per Lucio essere un pezzettino di sé negli altri.
Terzo ambiente
La terza stanza è detta “dell’esibizionista”, forse la più spaziosa tra quelle visitabili. In fondo alla stanza soppalcata, una grande bussola (ecco di cosa si tratta), senza dubbio proveniente da una chiesa, che copre un altro degli ingressi all’appartamento. La stanza è costellata anche in questo caso di opere d’arte, ma qui troviamo anche la maggior parte degli strumenti musicali: la fisarmonica, che è il primo strumento suonato da Lucio, l’immancabile clarinetto, che aveva imparato a suonare ad orecchio, il sax e le tastiere. È il clarinetto ad essere protagonista della sua cerimonia di laurea, che Dalla riuscì a rendere un vero e proprio spettacolo: cominciò smontando lo strumento e si mise a parlare in grammelot (ossia a emettere suoni molto simili a parole di senso compiuto, ma che non lo erano; i più curiosi troveranno una spiegazione qui).
Tutti cercarono di capire cosa stesse dicendo, invano, creando un doppio spettacolo: la performance e la reazione sconcertata degli astanti. Spezzoni della cerimonia di laurea del 1999 (anche se Lucio continuerà a dire che l’ultimo titolo di studio era il certificato di battesimo) sono facilmente reperibili sul web.
Quarto ambiente: la camera del re
Così è chiamata la stanza che Dalla ha usato come prima stanza da letto in questa abitazione. Curioso, il guanto appartenuto a Padre Pio preziosamente custodito accanto al letto.
Poco dopo la prematura morte del padre, quando aveva sette anni, Lucio aveva incontrato Padre Pio e cercato più volte di essere da lui confessato. Ci era riuscito solo una volta, come raccontava scherzosamente, forse perché il santo non lo aveva riconosciuto. Dalla era attratto dal gesto teatrale della messa e aveva un rapporto molto stretto con la Chiesa, tanto da essere parte dell’Opus Dei, cosa che verrà tra l’altro criticata proprio per le controversie dovute ad alcuni suoi testi che tutti conosciamo e che sono considerati in qualche misura blasfemi.
Quinto ambiente: la stanza Caruso
Sede ancora oggi dell’etichetta discografica fondata da Lucio Dalla, Pressing Line, che da sempre dà voce alle realtà emergenti, questa stanza è stata l’origine di molti album di successo, come DallAmeriCaruso e Dalla/Morandi.
Questa stanza fungeva da ufficio, sala riunioni e sala da pranzo. La stanza è piena di oggetti che testimoniano momenti della vita professionale (e privata) di Lucio, come le numerose targhe vinte, poste accanto a foto e ritratti dell’artista. In particolare, quello di Carlo Pasini, allievo di Mondino.
Sesto ambiente: la stanza dello scemo
Stanza adibita alla visione di film, arredata anche con anche delle poltroncine provenienti proprio da un cinema (a luci rosse!). Oltre ad essere un appassionato di film, a Lucio piaceva guardare le partite della Virtus, eccellenza del basket italiano, ma anche di calcio (sarebbe senza dubbio molto felice della posizione in classifica che si sta conquistando il Bologna Football Club). Dalla racconta di aver visto Il gladiatore sedici volte e di aver provato ad avere un approccio da sceneggiatore in alcune sue canzoni, come Anna e Marco.
Settimo ambiente: stanza delle colonne
È uno dei tanti salotti della casa, era la stanza da letto dei vecchi proprietari (come testimoniano gli affreschi sul soffitto in stile neoclassico). Questa stanza è piena di rimandi al Sud, a Napoli, alla Sicilia, a Capri, dove Lucio trascorreva le sue estati, spesso a bordo di uno degli yacht che gli sono appartenuti (tutti dai nomi molto buffi, come Catarro o Brilla&Billy, dai nomi dei suoi cani). A proposito del sud, racconta che è lì che è diventato religioso, aspetto che emerge spesso negli eventi della sua vita.
Ottavo ambiente: studio di Lucio
Ai lati della stanza delle colonne troviamo lo studio di Lucio e un piccolo studio di registrazione. Nel primo, la scrivania dove si sedeva e accoglieva ospiti e collaboratori. Sul tavolo, un pezzo del muro di Berlino davanti al quale compose Futura, brano che parla di due amanti separati dalla follia umana della distinzione tra Berlino Est ed Ovest.
Appeso al muro, il disegno di Milo Manara, che diventerà la copertina di 12000 Lune, con Dalla rappresentato al timone ma con alle spalle San Petronio, simbolo inequivocabile della sua città.
L’ultimo dettaglio, forse il più toccante, è quello che troviamo nel piccolo studio di registrazione. Lì, la tastiera che Dalla portava con sé in tour. Sulla tastiera, c’è ancora la scaletta dell’ultimo spettacolo di Montreux.