• di Sara Fabrizi
#AscoltiParalleli
“A Casa Tutto Bene” di Brunori Sas
La quarta fatica di un cantautore può essere considerata il disco della maturità? Nel caso di Brunori direi di sì, con all’attivo 3 dischi di discreto, buono, successo tanto da inaugurare un suo stile minimal folk pop, a tratti impegnato. Nel giro di 8 anni, l’esordio è nel 2009, ha seminato e poi portato tutto a casa. In una sorta di bringing it all back home dylaniano. Esplorando generi e temi, mischiandoli e rielaborandoli. L’esito è A Casa Tutto Bene. Uscito a gennaio 2017. Risuona quindi da 2 anni nell’immaginario collettivo. Vediamo quali suggestioni può evocare, quali paralleli si possono instaurare.
Di cosa si parla? Dei problemi sociali, delle nevrosi personali, dell’impasse, dei limiti che ci poniamo e non ci fanno vivere appieno. E ancora dell’egoismo, del ripiegarsi nei propri piccoli problemi, nelle proprie quotidiane meschinità. E poi l’amore. Mai vissuto in maniera lineare, per carità. Ma sempre tormentato, reso complicato, tradito e mal fidato. Il linguaggio è diretto, poche essenziali metafore che fanno subito capire dove si va parare. Di certo non la raffinatezza lirica di un Dylan, per intenderci. Paragone azzardato, lo so, devo ricordarmi di restare nell’alveo italiano.
Comunque se Brunori non è Dylan, può essere un De Gregori che di Dylan è per me una (più accessibile?) versione italiana. Nel senso che è inscrivibile nella strada battuta 40 anni prima e più dalle nostre eccellenze. E porta avanti la tradizione aggiornandola con i bei casini di oggi. La Verità apre l’album. Dura ammissione di colpe e debolezze che l’autore rivolge probabilmente a se stesso. Non usa mezzi termini, schiettezza su una melodia che mi ricorda un po’ il Vasco di Va bene, va bene così. Non c’è un crescendo particolare: la canzone procede dritta fino al ritornello appena urlato, e conquista proprio per questo suo mirare allo scopo, ricordarti dove sbagli e che perseveri nonostante la consapevolezza.
Il secondo brano è L’Uomo Nero. Attualissima invettiva contro la xenofobia imperante in questa società di insicurezze e ricerca di capri espiatori. L’uomo nero odia il diverso. L’uomo nero siamo tutti noi che, pur condannando certi atteggiamenti, finiamo col riproporre proprio quegli schemi mentali che riteniamo un abominio. Un brano amaro, che non lascia scampo. La musica è quasi in secondo piano, tanto accompagna il monologo, come se fosse una pièce teatrale. Forse qui si trova l’eredità di un Gaber.
Il terzo brano è Canzone Contro La Paura, e già il titolo introduce un cambio di registro rispetto ai due pezzi precedenti. Una ventata di ottimismo, o almeno di propositività, o che so io di innocenza. Affidarsi allo scrivere canzoni come modo per sconfiggere, o perlomeno, sedare le brutture del mondo. Un brano che è una sorta di metanarrazione sul fare canzoni. L’autore che dichiara il suo proposito di scrivere canzoni innocenti, che parlano di amore, delle piccole cose quotidiane. Canzoni poco impegnative e impegnate. Un rifugio dal dolore che c’è intorno, un ripiegarsi su se stessi. E invece no. Scrivere canzoni non sarà mai così disimpegnato, così avulso dalla realtà. Le canzoni saranno sempre arrabbiate, faranno sempre sognare, lottare, gridare, piangere per amore. La sua programmatica ammissione iniziale si trasforma nella voglia di partecipare al mondo e di provare a renderlo un posto migliore con la musica. Nel crescendo del brano si sprigiona tutto il potere delle canzoni che sconfiggono il dolore e la paura. Una bellissima riflessione su come arte e vita siano compenetrate a tal punto che la prima ha il dovere morale di salvare la seconda. A me questo brano evoca un bellissimo pezzo di Eros Ramazzotti, Se Bastasse Una Sola Canzone.
Lamezia Milano è il quarto brano, ci sento dentro Niccolò Fabi. Ancora un brano che affronta tematiche attuali in una road song che percorre lo stivale. A seguire Colpo Di Pistola. La Ballad del disco. Ah l’Amore. Quanto ci fa soffrire, quanto lo viviamo male. “L’amore è un colpo di pistola..” Molto degregoriano come pezzo. La dolcezza degli arpeggi mi richiama alla mente Bellamore, e Buonanotte Fiorellino, ma io ci sento pure una Rimmel con tutto l’amaro carico dei suoi rimpianti.
La Vita Liquida ha un ritmo frizzante e vagamente reggae. Il più esotico dei pezzi dell’album, ci fa quasi calare in una dimensione primordiale di contatto con la natura. Ci sento dentro un Lorenzo Cherubini. Diego E Io è una canzone d’amore. Tutta suonata al piano. E poi gli archi che conferiscono compostezza e gravità ad un brano malinconico. Come nella migliore tradizione della canzone d’autore italiana. Con Sabato Bestiale si cambia ritmo e registro. A livello di melodia ci sento un Battisti. Il tema è quello attuale dell’indifferenza ai problemi della società (e degli altri, dei meno fortunati) e il ripiegare verso una dimensione privata-edonistica. Anestetizzare la propria coscienza rifugiandosi nel “picciol piacere”.
Don Abbondio è un altro brano impegnato, di denuncia contro tutte le ingiustizie del mondo e contro il nostro adattarci ad esse, tollerarle o addirittura galopparle. Un brano desertico, durissimo, che prende alla gola centrando perfettamente l’intenzione sottesa dell’album: scuoterci. Il Costume Da Torero è un brano delizioso. Dai toni giocosi, si avvale di un coro di bimbi per dare leggerezza e sorriso al tema trattato. Agguantare il toro per le corna e salvare (cambiare?) il mondo. Quasi in un gioco magico realizzato da una specie di supereroe consapevole che le cose possono essere cambiate solo iniziando a cambiare se stessi. Un brano che è un raggio di sole nel cupo iperrealismo del disco. Gli ultimi 2 brani sono Secondo Me e La Vita Pensata. Il primo è una riflessione su come sarebbe assumere il punto di vista degli altri, mettersi nei loro panni, come cambierebbero i giudizi e le prospettive. La melodia è un folk delicato ma deciso. Ancora De Gregori. La Vita Pensata chiude il cerchio. Minimal folk. Delicata ammissione dei propri errori. “Ho capito finalmente che del mondo non c’ho capito niente”. “La vita va vissuta, ed invece io la penso”. De Gregori sopra ogni altro. Una Pezzi Di Vetro, ma meno complicata.