– di Assunta Urbano –
Qualche settimana fa mi è arrivato un pacco da parte di Maseeni, con all’interno «le more più buone». Così, ho fatto un viaggio nel mondo sonoro dell’artista. Un universo in cui il pop italiano si nutre della psichedelia internazionale.
Lorenzo Masini ha stretto tra le braccia la prima chitarra a soli undici anni e – con Jimi Hendrix nel cuore – da lì non l’ha più abbandonata. Dopo varie esperienze, ha portato il suo approccio stilistico nelle due realtà romane, attive soprattutto sulla scena psych internazionale: Weird Bloom e Big Mountain County.
In parallelo a queste avventure, decide di dare vita al suo progetto solista, per l’appunto Maseeni, spinto dalla forte esigenza di esorcizzare i propri mostri interiori.
Il primo pezzo che preannuncia l’uscita del disco è “Quasi due innamorati”, in cui viene esternato l’amore incondizionato per le proprie radici. Amatrice, luogo di crescita del musicista, nonostante i trascorsi tragici degli ultimi anni, riesce ancora a regalare «i funghi più grandi», «le lune più piene», ma soprattutto «le more più buone».
Abbiamo intervistato Maseeni. Ci ha raccontato di sentimenti, di cibo, ma soprattutto di “Canzoni d’Amore del Terzo Tipo”, il suo esordio discografico dello scorso 24 giugno per Porto Records.
Venerdì 24 giugno è uscito il debut album di Maseeni. Un disco che parla dei sentimenti, ma si avvicina alle faccende di cuore con un punto di vista nuovo e inedito. Raccontaci, quali sono le “Canzoni d’Amore del Terzo Tipo”?
Le “Canzoni d’Amore del Terzo Tipo” sono quelle canzoni che usano l’amore come pretesto per poi scavare più a fondo e cercare di arrivare al cuore di determinati sentimenti che noi, per convenzione, continuiamo a chiamare erroneamente amore.
Ti sei avvicinato alla musica molto presto, strimpellando la prima chitarra a soli undici anni. A partire dal 2018, il tuo percorso artistico si è intrecciato con due delle realtà psych italiane più rappresentative anche a livello internazionale: Weird Bloom e Big Mountain County. Cosa ti ha spinto a passare da quelle sonorità fino ad un lavoro più cantautorale e introspettivo?
In realtà scrivo canzoni da quando ho iniziato a suonare. Scrivere musica lo trovo imprescindibile e negli anni mi sono lanciato in progetti molto diversi fra loro. Dal blues al jazz, passando per il trip hop arrivando poi allo psych e alla musica cantautorale. Personalmente faccio molta fatica a determinare i generi musicali, anche se, per così dire, “l’industria musicale” lo richiede.
A me è sempre piaciuto ascoltare e suonare di tutto e quello che faccio non è ispirato a qualcosa di preciso. È un continuo riassunto del mio vissuto musicale fino a quel preciso momento. Il mio sound credo sia come un figlio: è nato sedici anni fa e anno dopo anno cresce, si trasforma, un giorno invecchierà… ma sempre lui è! Le sonorità che ho sperimentato grazie a Weird Bloom le porto con me ancora oggi, così come quelle dei Big Mountain County. È un flusso che non si arresta mai, continua ad evolversi.
Un bel film tra allegoria e follia romantica alla Dottor Jekyll e Mister Hyde… oppure che ognuno ci legga dentro quel che crede opportuno. Siamo rimasugli poco significativi di certe evoluzioni scientifiche che auspicavamo in tempi remoti. Non siamo di certo il risultato sperato. E il cantautore toscano Cosimo Bianciardi con il fido producer e…
In “Dimenticarti” canti «ci piace mangiare il cibo tipico del luogo». Domanda culinaria totalmente fuori contesto: ci sveli il migliore piatto che hai assaggiato all’estero?
Questa domanda mi mette davvero in difficoltà. Ti rispondo la colazione che mi offrirono per una settimana in Tanzania i ragazzi del posto: cocomero, uovo, peperone e uva. Semplicemente stupendo. Qualcosa di assurdo, un mix che non mangerei mai nella vita di tutti i giorni ma che in quel momento mi rendeva felice perché mi faceva sentire in viaggio, lontano dalla più noiosa comfort zone. Quella colazione per me era la cosa più buona del mondo.
È un collegamento immediato quello di Alexander Platz a Franco Battiato. Quanto ti ha influenzato il cantautore e compositore siciliano nel tuo processo artistico?
In “Dimenticarti” cito “Alexander Platz” perché è una canzone che in qualche modo mi ha fatto vivere la magia della musica, il famoso “sognare ad occhi aperti” mentre si ascolta un brano, che reputo una delle forme di evasione più straordinarie. Ho ascoltato per anni quel brano interiorizzando dentro di me un’immagine romantica e di pura bellezza di quel posto. Praticamente Alexanderplatz per me doveva essere uno dei luoghi più belli del mondo e questo solo per il modo in cui venivano cantate quelle due parole. E poi niente, la prima volta che andai a Berlino non potevo crederci… che orrore! A Franco Battiato, Fabrizio De André e Rino Gaetano non posso che dire: grazie.
E proprio parlando del musicista, al disco ha partecipato Marina Cristofalo, aka Lili/Lilies On Mars, che insieme a Lisa Masia ha collaborato per anni con Battiato. Come è stato lavorare insieme?
Conoscere Marina e Lisa mi ha fatto crescere tanto musicalmente. Potersi confrontare con due musiciste della loro esperienza non capita tutti i giorni. Il contributo di Marina al progetto è stato fondamentale. Poter lavorare con lei è stata la ciliegina sulla torta nel processo creativo del disco. Lei e Lisa mi hanno insegnato che oltre a saper creare e ad avere un’idea bisogna saperla trasmettere e loro lo sanno fare benissimo. Sembra una cosa scontata, ma non lo è, soprattutto quando stai lavorando alla “tua” musica insieme ad altre persone.
Oltre alla lunga collaborazione con Battiato, personalmente mi fanno volare tutti i dischi delle Lilies on Mars e il loro nuovo progetto Lili. Quelle sonorità le sento molto vicine a me. Per questo è stato fin troppo facile fare entrare Marina nel mio mondo e le note che ha portato da Marte hanno reso i colori del disco ancora più accesi.
Ti cito “Non ti batte più il cuore”: «E ti tuffi di testa in un film, nelle tue paranoie, in quelle di Lynch». Se Maseeni fosse un film di David Lynch, quale sarebbe e perché?
Twin Peaks, sicuramente. Penso che lì sia racchiusa tutta la filosofia della sua opera cinematografica. Sarebbe un discorso lunghissimo da affrontare qui, ma posso dire che in un momento specifico della mia vita mi ha insegnato ad “accettare”. L’accettazione non come resa, ma come presa di coscienza. Paradossalmente, nonostante la sua apparente inquietudine, mi ha fatto tirare uno dei sospiri di sollievo più belli.
Invece, ne “La fine del mondo” dici: «Va tutto a puttane, mentre il disco di Lou Reed non smette di girare». A quale album fai riferimento?
“Transformer”, ovviamente!
Oltre che musicista, lavori come musicoterapeuta nel reparto terapia intensiva neonatale (TIN) del Fatebenefratelli di Roma. Non posso fare a meno di chiederti cos’è per te la musica? Alla fine di tutto, sarà l’unica a salvarci?
Voglio risponderti con il titolo del libro che mi ha cambiato la vita: Musicofilia, di Oliver Sachs. In estrema sintesi: musicofilia, il “tendere” dell’uomo per natura verso la musica. La musica, il suono, sono parti costitutive del nostro essere. Siamo noi. Ma per salvarci dovremo faticare… e tanto!
E l’amore invece? È davvero «una cosa bellissima» come canta Maseeni ne “La fine del mondo”?
L’idea dell’amore è una cosa bellissima. Ma l’amore in sé non vuol dire nulla. Credo sia la parola più inutile del vocabolario. Va bene usarla per convenzione, ma a mio avviso genera troppa confusione. Comunque, sì, è una cosa bellissima. Viva l’amore.