– di Assunta Urbano –
Che fine hanno fatto i primi appuntamenti in questo ultimo anno? Sembrano essere stati dimezzati oppure si sono trasformati in incontri insoliti. Dalle cene a lume di candela, siamo passati ad incontrarci davanti al banco dei surgelati. Romantico, no?
Ho ripensato a questo tema ascoltando il nuovo disco di Angelica, qualche giorno prima di intervistarla. Poi, però, ho scoperto che il lavoro ha tutto un altro sapore.
Venerdì 5 febbraio, la cantautrice ha pubblicato per Carosello Records otto brani, riunendoli sotto il titolo Storie di un appuntamento. Un lavoro spontaneo, sincero e diretto. In realtà, non si tratta di alcun incontro con l’altro, ma dell’esplorazione e seguente accettazione del proprio io.
Se pensate che vi manchi un pezzo per completare il puzzle, riavvolgiamo il nastro e ripartiamo dal principio.
Angelica, al secolo Angelica Schiatti, è una cantautrice originaria di Monza. Si avvicina al magico mondo della musica a dodici anni grazie a quei quattro ragazzi di Liverpool, che negli anni Sessanta hanno rivoluzionato l’era moderna.
Una volta trasferitasi a Milano, il suo percorso artistico prende il via e dopo l’incontro con Stefano Verdieri diventa voce dei Santa Margaret. Nel 2014, la band registra un disco (Il suono analogico cova la sua vendetta) ed ha la possibilità di esibirsi live in contesti spaziali, come gli EMA’s in Piazza Duomo a Milano nel 2015.
Tra il 2016 e il 2017 la cantante decide di dare vita ad un progetto solista e nel 2019 pubblica il suo album d’esordio Quando finisce la festa. Il successo di questo lavoro la porta quello stesso anno ad aprire i live italiani di Miles Kane, ma soprattutto a conquistare nuove fette di pubblico. Sempre in quel fortunato periodo, esce il singolo “Vecchia novità”in collaborazione con Giacomo Ferrara.
Arrivati, dunque, ad oggi non ci resta che farci raccontare proprio da Angelica le sue Storie di un appuntamento.
Venerdì 5 febbraio è uscito il tuo secondo disco Storie di un appuntamento. Parliamo di questo lavoro.
Questo disco per me è la fotografia di un momento di grande cambiamento. Si vede già paragonandolo con il precedente. Quando finisce la festa rappresentava un periodo più “festaiolo”, in cui dovevo uscire da me, non guardarmi, non vedermi, non ascoltarmi. Ad un certo punto, però, è arrivato questo “appuntamento”, che è stato proprio quello con me stessa. Da che ero sempre fuori, sono rientrata e lì è iniziato un percorso di introspezione. Un viaggio immortalato perfettamente dalla copertina, che mi vede davanti allo specchio e che simboleggia la data di arrivo, per l’appunto, di questo fatidico appuntamento con me. Sono contenta di questa fotografia, che in verità è casuale.
Storie di un appuntamento è evidentemente più intimo rispetto a Quando finisce la festa, ma a tratti sembra anche una rivincita.
È vero, questo disco è più crudo. Il precedente vedeva forse una Angelica più ingenua, mentre adesso ho scritto con una maggiore esperienza. Quando finisce la festa era più “perfettino”, mentre Storie di un appuntamento ha un’attitudine punk. Abbiamo tenuto un sacco di errori. L’assolo di “De Niro”è registrato sul divano di casa, ad esempio. Ci sono tanti aspetti che lo rendono sincero, spontaneo, e questa cosa mi piace molto. Allo stesso tempo, il sound è molto interessante.
Ogni disco racconta una storia, è giusto che sia diverso dal precedente. L’album si apre con “Peggio di un vampiro” e si chiude con “Comodini“, ma soprattutto il primo pezzo è introdotto dal rumore della cassetta inserita nel lettore e il tutto si conclude con il gesto inverso. Cosa ti ha spinto ad inserire questo “ricordo” in Storie di un appuntamento? Preferisci, poi, il supporto digitale o quello fisico?
Come per i concerti, per cui lavori su una scaletta, così ho ragionato su questo album. Ho immaginato l’ascoltatore, come in un live, che sente tutti i pezzi dal primo all’ultimo. La scaletta è in grado di creare un certo tipo di percorso in una serata e il disco per me è la stessa cosa. È un viaggio, da assaporare dall’inizio alla fine, ed è un’unica storia. In quel senso, preferisco i supporti analogici, perché non ti permettono di skippare esageratamente, ma di goderti tutto il racconto. Però, in realtà, sono molto contenta del presente che sto vivendo (ovviamente escludendo la pandemia). Ne uso e abuso del digitale, che è comodo da portare ovunque. Di certo non penso di andare in giro con la valigia dei vinili!
Sarebbe bello avere qualcuno che lo fa per te, come una sorta di facchino.
Secondo me, una come Beyoncé può permetterselo!
Entriamo nei brani di Storie di un appuntamento. Il singolo L’ultimo bicchiere è una ballad malinconica piena di citazioni musicali. Nel ritornello canti: “Sei più Beatles o Stones?” Ti rigiro la stessa domanda. Anche se la risposta è già intuibile dal testo della canzone, non lo è allo stesso modo il motivo.
Io sono più Beatles. In quel caso, quella domanda ha a che vedere con l’attitudine. I Rolling Stones vengono spesso legati all’immagine dei cattivi ragazzi, i Beatles l’opposto. Poi ci sono una serie di altre motivazioni musicali. Come il percorso musicale dei Fab Four, i cui due dischi all’anno sembravano in realtà venti per l’evoluzione tra l’uno e l’altro a livello sia sonoro che di scrittura. Io sono più beatlesiana per questa ragione, ma anche perché mi fanno sentire a casa.
Qual è il tuo preferito tra i quattro?
Sono stata per molto McCartneyana, l’ho visto dal vivo una dozzina di volte, sono andata ovunque. Poi, però, ho iniziato a sentirmi più legata a Lennon, che è veramente acido nelle cose che fa. Ho imparato ad apprezzarlo più tardi.
Ne “L’ultimo bicchiere”c’è anche un’altra contrapposizione interessante: quella tra Sid e Nancy. Angelica è più lui o lei?
Poverini, entrambi non è che stavano benissimo! [ride ndr.]
“De Niro“ricorda l’amore intenso tra John e Yoko, ma il titolo è un riferimento all’attore protagonista di Taxi Driver. Che rapporto hai con il mondo del cinema?
Dalla scena madre del film ha avuto inizio tutta l’idea dello specchio, tra l’altro. Per il resto, ti posso dire che ne so molto più di musica che di cinema. Sono soprattutto una patita di colonne sonore. Il cinema in relazione alla musica crea qualcosa di molto interessante, in cui noi italiani siamo stati e siamo ancora i numeri uno. Le nostre orecchie subiscono spesso passivamente una serie di informazioni, così come i nostri occhi. La fusione di questi due mondi artistici è un regalo che fai a te stesso, come una sorta di viaggio interiore.
C’è tra i pezzi “C’est Fantastique“, il cui titolo è in francese, ma il testo è in italiano. Ti piacerebbe incidere dei brani in una lingua straniera?
In francese mi piacerebbe molto, ma non la conosco come lingua. So parlare l’inglese ed ho studiato un po’ di spagnolo. Devo dirti, però, che sono molto fan dell’italiano. A me piacerebbe scrivere una canzone in italiano, che possa avere degli sbocchi all’estero. La cosa più vera l’ha detta Salmo riguardo al rap, anche se vale un po’ per tutta la musica italiana: siamo poco coraggiosi. Abbiamo quasi paura di essere italiani. In questo periodo, possiamo dire che ci sono davvero tante cose belle.
Per fortuna!
Nel corso della tua carriera hai avuto l’occasione di aprire con i Santa Margaret ai Duran Duran nel 2015 agli MTV EMA’s a Milano e in solitaria alle date italiane di Miles Kane nel 2019. Guardando a tutte queste esperienze, con chi ti piacerebbe collaborare nel futuro?
Ce ne sarebbero tantissimi! Alcuni sono impossibili – come Lucio Battisti, per ovvi motivi – altri invece probabili. Devo dirti che sono un po’ scaramantica, preferisco tenerlo per me. Facciamo che lo scrivo su un fogliettino, ci metto la data di oggi e incrociamo le dita!
Anche se Storie di un appuntamento fa riferimento ad un appuntamento con te stessa, ce ne racconteresti uno un po’ bizzarro che ti è rimasto particolarmente impresso?
Un po’ bizzarro? Cavoli! Questa è una bella domanda, è tosta. C’è stata una volta in cui non conoscevo di persona questo ragazzo, siamo usciti e ci siamo scambiati la prima parola dopo ore ed ore. Ci siamo trovati bene e siamo rimasti in giro fino a mattina.
Ricorda quasi Midnight in Paris.
Esatto, perdita completa del senso del tempo.