– di Manuela Poidomani
e Giacomo Daneluzzo –
Gli Antartica, in attività dal 2019, si formano a Vicenza; dopo aver pubblicato, nel corso del 2019, i singoli Tornerà, Ikigai, Murakami e Trenitalia, il 4 dicembre 2020 sono tornati sulle scene con il loro ultimo lavoro, intitolato Savoia e prodotto dal noto produttore Simone Sproccati.
Ci connettiamo alla videochiamata e, puntuali, si collegano Francesco (voce) e Samuel (batteria) degli Antartica. Nonostante la distanza, l’intervista nasce e si sviluppa con una grande naturalezza e molta ironia, ognuno di noi è a proprio agio e, dopo esserci presentati e aver notato che abbiamo tutti dei cognomi atipici, iniziamo con le domande.
Giacomo | Simone Sproccati, il vostro attuale produttore (nonché amico di Manuela), è l’ex chitarrista dell’Officina della Camomilla, gruppo di cui sono super innamorato. Com’è stato lavorare con lui? Che apporto ha dato al vostro lavoro?
Francesco | Ci ha fatto capire che non sapevamo niente. Neanche adesso, ma prima sapevamo ancora meno. Lavorare con lui è figo, Simone è una persona molto stimolante. Non fa solo il produttore, si appassiona al progetto, vuole che funzioni bene e ci tiene molto.
Manuela | Con questo nuovo brano, Savoia, è come se aveste ricominciato da capo: avevate già pubblicato dei singoli ma con questo è come se ci fosse un nuovo “voi”.
Samuel | La verità su Savoia è che è stata un parto. Avevamo già una versione di Savoia…
Francesco | Due versioni!
Samuel | Sì, due versioni. Arriviamo in studio con due versioni del brano, Simone ci guarda e fa: “No”. Non sapevamo dove sbattere la testa e abbiamo ricominciato a scrivere il pezzo…
Francesco | …poi è scattata la quarantena.
Samuel | E in quarantena abbiamo continuato a scrivere e riscrivere, alla fine abbiamo ultimato il pezzo, a livello di scrittura, in quarantena.
Francesco | Avevamo la versione del concerto al Bocciodromo, che però abbiamo cambiato prima di andare da Simone. Con Simone siamo andati avanti con una versione, ma lavorandoci ha preso una nuova direzione, ovvero quello che potete sentire adesso. La terza versione è stata quella buona.
Manuela | Voi siete di Vicenza, vivete lì, no? E per registrare con Simone siete venuti fin qui, a Milano?
Samuel | Sì, noi siamo di Vicenza. Una persona che conosciamo ci ha presentato Simone. E per registrare siamo andati nel suo studio a Milano, dopo la quarantena.
Francesco | Siamo andati prima e dopo la quarantena. Eravamo in sala prove con la mascherina, si moriva.
Samuel | Voi non avete idea… Le giornate in studio sono bellissime: ci sono dei divani comodissimi e ci sono le varie sessioni: la voce, la chitarra, il basso, la batteria… Mentre aspetti che gli altri finiscano ti assopisci sul divano e poi non capisci più niente.
[Ridono, ndr]
Manuela | Ho visto il video di Savoia, che è molto minimal, essenziale. C’è un richiamo al Giappone, alla cultura giapponese in questa scelta, visto che tra i vostri singoli ci sono Murakami e Ikigai?
Samuel | Diciamo che queste connessioni con il Giappone sono un po’ delle coincidenze. Il bassista, Fish, è quello più appassionato del Giappone e della cultura giapponese. Inizialmente c’è stata Murakami, che ha proposto lui ispirandosi ai libri di Murakami.
Francesco | Anche per Ikigai è stata una coincidenza. Il titolo aveva senso per il testo: il termine ikigai ha un significato particolare che era perfetto per il pezzo. Il caso ha voluto che fosse una parola giapponese.
Samuel | Per quanto riguarda lo stile grafico, invece, il Giappone rappresenta il minimal per eccellenza, si tratta di una filosofia, per loro; e noi siamo legati a questo stile grafico, anche dal punto di vista della comunicazione: tendiamo a essere il più possibile schietti e diretti, piuttosto che dilungarci. Savoia, che ha tre ritornelli, per noi è stato difficile da digerire.
Francesco | Alla fine però ci è piaciuta!
Manuela | Ho appena finito di leggere Norwegian Wood di Murakami. Avete letto tutti Murakami? C’è qualcosa di Murakami nei vostri pezzi?
Samuel | Sì!
Francesco | Non parlare per gli altri! [ride, ndr] Io non ho mai letto Murakami, soltanto delle pagine di suoi libri.
Samuel | Io, Fish e Simone abbiamo letto tutti Murakami, ma loro hanno letto Norwegian Wood, io After Dark. Ha un tipo di scrittura che mi fa impazzire, perché è comunque vicino alla sensibilità occidentale, ma non c’è un finale: arrivi alla fine del libro e vuoi ucciderti, perché non finisce!
Francesco | Murakami è un po’ tipo Fish. Tra l’altro Fish, che viaggia un sacco, è anche stato in Giappone; è tornato esattamente il giorno in cui è iniziata la quarantena, incredibile.
Giacomo | Il termine giapponese ikigai indica un concetto particolare, che possiamo ritrovare, a grandi linee nell’equilibrio, nella realizzazione personale… Qual è il vostro ikigai, che cosa rappresenta, per voi, questo concetto?
Francesco | Secondo me è una di quelle cose che cambiano, nella vita. Se da quando hai otto anni e sogni di fare l’astronauta a quando ne hai quaranta e lavori il tuo obiettivo non è mai cambiato vuol dire che c’è qualcosa che non va. Per me è meglio avere dei piccoli obiettivi e parallelamente fissare un obiettivo grande; suddividi il tempo in tanti piccoli obiettivi, per esempio: “Che cosa posso fare il prossimo mese per raggiungere questo piccolo obiettivo?” e sommando tutti i mesi e tutti i piccoli obiettivi si fa l’obiettivo dell’anno, poi l’obiettivo dei dieci anni e alla fine l’obiettivo della tua vita. Non so ancora quale sia l’obiettivo della mia vita, ma cerco di raggiungere tutti questi piccoli obiettivi. Molti dei miei obiettivi, in quest’ultimo anno, sono andati in fumo per colpa del COVID. È difficile trovare obiettivi che siano compatibili con la pandemia.
Samuel | Io voglio fare il batterista, come Salmo in Cabriolet (ma al presente). Ultimamente ho capito che il mio obiettivo è essere tranquillo, più che felice. Però se devi scrivere un pezzo non puoi permetterti di essere tranquillo, devi vivere con una certa tensione. Sono contento che noi Antartica stiamo continuamente un po’ male, chi più e chi meno. Non pretendo niente da me stesso.
Giacomo | M’interessa questa specie di propensione alla creatività data dallo “stare un po’ male”. Pensate che i momenti di tristezza siano più stimolanti per l’arte, per scrivere e per comporre?
Francesco | Personalmente penso che la tristezza possa essere d’aiuto, ma può anche farmi cadere nella banalità, perché essendo un “vettore di scrittura” si tratta di un mare molto navigato. Quindi sono contento di aver trovato gli altri membri degli Antartica, perché non si sfocia mai nella tristezza assoluta, quanto piuttosto nella malinconia, in cui mi trovo molto bene, per quanto riguarda la scrittura.
Manuela | È Francesco che scrive i brani o si tratta di un lavoro collettivo?
Francesco | Facciamo tutto insieme. È un puzzle gigantesco che si unisce. Solitamente uno di noi arriva con una “bozza”, una demo, e ci lavoriamo. Ogni membro del gruppo è essenziale. In questo modo sentiamo ogni canzone più “nostra”. Mi va benissimo cantare cose che non ho scritto io; penso che a Samuel vada bene suonare un pezzo di batteria composto da uno di noi. Poi ovvio, se fa schifo non lo facciamo.
Samuel | È un continuo crescere insieme. Quello che mi piace di questo gruppo, che riguarda ogni aspetto della band, è che è un continuo darsi qualcosa a vicenda, aiutarsi, spronarsi.
Francesco | Un’altra cosa bella, secondo me, è che questa cosa per certi versi si stia anche assottigliando, perché c’è fiducia. Per esempio il video di Savoia è stato interamente montato da Samuel; si tratta di ore e ore di lavoro e ci siamo fidati completamente di lui, per farlo. A casa sua, da solo, montava il video e man mano ci mostrava i progressi. Era lui a farlo anche perché è l’unico capace di fare queste cose, ma forse quando ci eravamo appena conosciuti non avrebbe funzionato, perché non c’era questo rapporto di fiducia così stretto.
Samuel | Il bello di avere un gruppo è che se si ha lo stesso obiettivo comune tutti si spronano per raggiungerlo.
Manuela | Ci sono degli artisti o dei gruppi che consigliereste di ascoltare?
Francesco | Gli Antartica! [ride, ndr]
Samuel | Io nelle ultime settimane sono innamorato perso di Ariete. È uscito l’EP 18 anni, che contiene Mille guerre… E quella canzone l’avrò ascoltata mille volte, una per ogni guerra! Mi piacciono molto anche gli Psicologi, ma come scrive Ariete… Sono canzoni di due minuti, ma sono incredibili. Sto ascoltando anche Machine Gun Kelly…
Francesco | Basta Machine Gun Kelly!
Samuel | Sì, ultimamente è un loop…
[Ridono, ndr]
Francesco | Io in inverno “devo” essere triste, quindi sto ascoltando i Turnover, gruppo dream pop, i Quercia, che sono un bel po’ tristi. Ma il periodo dell’anno è questo.
Giacomo | Sei meteoropatico?
Francesco | Sì, ho bisogno del sole per stare bene. Ma scrivo meglio con la pioggia.
Giacomo | A me la pioggia mette allegria, invece!
Samuel | Anch’io mi gaso un sacco con la pioggia. Quando piove voglio andare in un centro storico e mi sono preso l’ombrello trasparente dei cinesi apposta.
Manuela | In questo periodo io ascolto molto Fulminacci e Frah Quintale.
Samuel | Frah Quintale è uno di quegli artisti che ha una cifra stilistica che riconosci subito; senti un suo pezzo e dici: “È Frah Quintale”. Come anche Fulminacci.
Francesco | A me Frah Quintale non piace.
Giacomo | Attento, sai come siamo noi giornalisti… È un attimo per far scoppiare il dissing!
Samuel | Aspettate, ragioniamoci su questa cosa: se dissiamo Frah Quintale e lui ci risponde… È fatta! Quindi prendiamocela con Frah Quintale.
Giacomo | Allora come titolo dell’intervista metteremo: “Gli Antartica contro Frah Quintale: «Ci fa schifo»”.
Francesco | Samuel, posso chiederti cos’hai scritto nella tazza?
Samuel | “Cuties warm hugs”, “Abbracci carini e caldi”.
Francesco | Wow, sei proprio carino, sai?
Manuela | Possiamo mettere anche questo come titolo: “Abbracci carini e caldi”!
Samuel | Ma non ho finito qui con la carineria! [Si alza facendo vedere un maglione natalizio con raffigurato Darth Fener e la scrittta: “Merry Christmas”, ndr] Ho un maglione che luccica (che però non sta luccicando).
Francesco | In questo maglione c’è il sudore del nostro primo concerto: 30 novembre 2019, Bocciodromo di Vicenza.
Giacomo | Periodo infausto per iniziare a fare concerti…
Francesco | Siamo stati un po’ sfortunati… Ora non vediamo l’ora di poter riprendere.
Samuel | Comincia a mancare persino fare otto ore di fila per i concerti.
Francesco | Racconterò una cosa – ci sono le prove sul mio Instagram: nel 2019 avevo i capelli più corti e sono andato al concerto di Ed Sheeran. Mentre ero in coda mi hanno fermato un sacco di ragazzi per chiedermi la foto, perché assomigliavo a Ed Sheeran, e con alcuni di questi ho anche fatto amicizia. Ed Sheeran è uno dei miei artisti preferiti. Con Shape of You ha fatto i soldi, ma il resto di quell’album è spettacolare. In live è una one-man-band: ha la chitarra, si collega alla loop station e fa delle robe incredibili. Un po’ su questa linea c’è N.A.I.P., il concorrente di X Factor – che però non guardo.
Samuel | Anche non guardandolo, però, tifavamo per cmqmartina: siamo di parte.
Francesco | Dovevamo aprire un live di cmqmartina, che però poi è saltato per via della quarantena… Un altro live a cui avremmo suonato in apertura è quello di Generic Animal.
Samuel | Prima o poi suoneremo anche con Tananai, si spera ad aprile.
Manuela | Quanto c’è di voi nei vostri pezzi, quanto sono autobiografici?
Francesco | Il prossimo pezzo non sarà autobiografico, racconta la storia di una persona che conosciamo, ma lo spoiler finisce qui. Generalmente nei nostri pezzi, proprio per il fatto che come dicevamo prima è un puzzle, che scriviamo insieme, spesso si trova il senso della canzone come discorso generale, che può aver affrontato qualsiasi persona, così che sia più facile immedesimarsi; poi ognuno porta la propria esperienza legata a quello stato d’animo.
Samuel | Mettiamo in primo piano i nostri stati d’animo, in cui ci rivediamo anche in modi diversi.
Francesco | In un certo senso siamo anche autobiografici, ma alla fine il risultato è un insieme delle varie esperienze.
Samuel | Cerchiamo una connessione con chi ci ascolta: proponiamo un “mood” e cerchiamo di far sì che le persone ci si ritrovano, con le loro storie personali.