– di Assunta Urbano –
Musicista, scrittore e speaker radiofonico. Tutto questo e molto altro è Bussoletti.
Il cantautore, con base a Roma, ha ricevuto svariati riconoscimenti nella propria carriera, tra cui il Premio Donida ed il Premio Amnesty Arte e Diritti Umani.
Potremmo segnare, tuttavia, alcuni tra i principali traguardi del suo percorso artistico. Nelle vesti di scrittore ha pubblicato, per Round Robin Editrice, la raccolta di racconti dal titolo Microcinici. Invece, con Radio Rock sta avendo molto successo il format Lingue A Sonagli.
At least but not last, questo 2019 ha visto l’uscita del recente lavoro discografico Peso Piuma, per luovo e Matilde Dischi.
E proprio di queste numerose esperienze, con una full immersion soprattutto all’interno del disco, abbiamo parlato con il diretto interessato.
Sei un musicista, uno scrittore ed uno speaker radiofonico. Svolgi tre attività strettamente connesse tra di loro. Come si collegano il percorso in radio e quello da scrittore con il tuo universo musicale? C’è un ruolo che prediligi tra tutti?
Sì, sono tutte connesse, perché alla fine si parla di scrittura ed è l’unica cosa che veramente so fare, in fin dei conti. Spesso ti chiedono quante cose fai, ma così come hai notato anche tu, sono legate tra loro, perché si tratta sempre solo di scrivere, che si tratti di una canzone o di un programma. Sicuramente la parte più divertente è la musica, soprattutto live. Quando fai un concerto e la gente si diverte, ti dà una carica di adrenalina incredibile. Subito dopo la fine, vorresti immediatamente farne un altro. Però, anche le dirette radiofoniche mi danno tantissime soddisfazioni. L’importante è che si tratti di cose che fanno star bene anche gli altri e non solo te.
Poi si tratta di tutte attività che dovrebbero far star bene sia te che il pubblico. È l’effetto che dovrebbe scaturire da qualsiasi cosa sia legato alla cultura. Pensando proprio alla tua esperienza radiofonica, com’è nato il talkshow Lingue A Sonagli?
Sì, sono d’accordo con quello che dici.
Lingue A Sonagli nasce dalla mia voglia di viaggiare e di guardarmi intorno. Ho visto all’estero che ci sono questi show con il pubblico in sala e lo spettatore si gode gli ospiti selezionati. È uno spettacolo che in Italia, in qualche modo, mancava. Abbiamo avuto ed abbiamo ancora oggi, da molti anni, i classici talkshow televisivi. Ce ne sono tanti, ma non c’è l’interazione. Quindi, con Emilio Pappagallo di Radio Rock, abbiamo deciso di crearlo, cosicché anche chi sta a casa può sentirlo tramite radio. È un modo carino, ma forse in quel caso più tradizionale. La cosa bella è che tu puoi andare a cena a ‘Na Cosetta e vedere, ad esempio, Violante Placido o Le Coliche ad un centimetro da te e scambiare due battute. Spesso utilizzo il pubblico come elemento interno allo spettacolo. Nel caso di Violante Placido, c’era una persona innamorata di lei, che è salita sul palco e le ha fatto una dichiarazione d’amore.
Ecco, questo è bello. In realtà, però, credo che anche da casa sia recepibile questo tipo di format.
Certo, poi io non credo molto nelle barriere con il pubblico. In Italia ce ne sono fin troppe, talvolta anche tra colleghi. Io ho avuto la fortuna di duettare con Dario Fo. È stato tutto molto semplice ed immediato. A volte, invece, interagire con un collega pensi possa essere più semplice perché siamo simili, invece, non va sempre così. Ci sono troppe barriere inutili. Quando, invece, questo tipo di muri vengono abbattuti, allora non ci sono problemi neanche con il pubblico. Alla fine, la differenza tra me e te è solo che io sto cantando e tu ascolti. Se la cosa ti arriva, però, siamo davvero sullo stesso piano.
Forse in Italia c’è il problema dell’essere “troppo fan” di un artista. Lo spettatore si sente sempre inferiore rispetto a chi è sul palco.
Sì, sono d’accordo. A volte, ad esempio, mi rimproverano che uso i social come tutti, invece di darmi un tono, che non mi piace assolutamente. A me viene naturale scherzare e magari rispondere ad una critica. Il non intervenire, secondo me, è solo una grande cazzata.
È proprio quello il modo per mettersi su uno stesso piano, come dicevi prima. Spostandoci sulla musica, Non Ho Sonno è il tuo ultimo singolo, uscito lo scorso ottobre per Matilde Dischi e luovo. Nel pezzo sono evidenti le citazioni letterarie, in maggior parte ad Italo Calvino. Come si unisce il tuo mondo musicale a quello della letteratura?
Io metto tantissimo impegno nella scrittura dei pezzi. Ho voluto citare Calvino, perché mi piace che un suo racconto, come Il Visconte Dimezzato, si possa leggere quasi come un romanzo per bambini. Poi, da adulto, ne vedi l’immagine della società che si cela tra le righe. C’è una lettura molto più profonda. Io vorrei passare proprio questo messaggio. Chi ha voglia di vivere le cose in modo più leggero fa così. Oppure, chi vuole vedere il lavoro che c’è dietro, può farlo.
Calvino effettivamente è l’esempio perfetto per fare questo tipo di discorso.
Da poco ha visto la luce il tuo disco Peso Piuma. Cosa rappresenta per te questo lavoro? In aggiunta, oltre al vinile – tornato ormai in voga – ne hai pubblicato anche una versione in audiocassetta. Quale è stato il motivo di questa particolare scelta?
L’ho fatto perché credo che i cd non abbiano più senso. La gente non li usa più. Un tempo si usavano in macchina, ora neanche in quel caso. È positivo tu possa conoscere gli artisti anche gratuitamente tramite le piattaforme, come Spotify, YouTube. Tuttavia, mi piaceva l’idea di dare un supporto visivo e bello. Magari se vieni ad un mio concerto, hai un bel ricordo da poter comprare. Oltre al vinile, che, appunto, ora è tornato di moda, per me la cassetta era assolutamente una chicca. Infatti, nelle varie date il libro e l’audiocassetta sono i gadget più venduti.
Poi la cassetta è stato il supporto con vita più breve tra tutti.
Sì, l’industria discografica voleva farla sparire, perché era la più facile da duplicare. Poi, c’erano le famose compilation, che utilizzavamo per rimorchiare.
Io, ad esempio, ero molto legata al Walkman.
La settimana scorsa ero a New York e ti posso dire che stanno tornando.
Finalmente!
Torniamo al triste mondo delle piattaforme digitali, abbandonando quello magico dei supporti materiali per ascoltare la musica. Uno dei tuoi pezzi che ha ottenuto più views è stato Selvaggia Lucarelli. È l’unico brano che fa riferimento diretto ad un personaggio ben definito. La domanda è praticamente immediata: perché Selvaggia Lucarelli?
In realtà è un simbolo, non ce l’avevo con lei in particolare. In quel momento ero un po’ saturo di un certo modo di fare, di quel mondo sempre polemizzante e quei titoli di articoli da clickbait. Ho scelto questo personaggio nello specifico, perché quei giorni c’era la storia di lei e Astro Samantha. Selvaggia Lucarelli aveva fatto quel commento spiacevole sul suo aspetto fisico. Una cosa di cui non interessava a nessuno.
Devo dire che la canzone è stata accolta molto bene dal pubblico, tanto che è l’unica nella mia carriera ad avere fatto più di un milione di views su YouTube. Un po’ meno da lei, che ha finto di non conoscerla. Strano, dato che si tratta di una donna di mondo e del brano se ne è parlato pure sui giornali. È un po’ difficile che non l’abbia sentita. Bastava essere ironici e ne avremmo scherzato.
Dubito non l’abbia davvero sentita. Se un pezzo avesse come titolo il mio nome, io sarei curiosa di ascoltarlo.
Se uno facesse una canzone con il mio nome, io sarei molto più interessato a controbattere con una battuta divertente, piuttosto che tacere.
Beh, nient’altro da aggiungere.
Cara Televisione, presente in Peso Piuma, mi è sembrata un ricordo un po’ nostalgico dei tempi andati. Nel testo si ritrovano numerose immagini che fanno parte di uno scenario ormai passato. Questo “futuro arrivato a sorpresa”, con la sostituzione dei cellulari e dei social network rispetto allo schermo televisivo, come lo vedi, dal tuo punto di vista?
La nostalgia c’è dal momento in cui uno pensa ad un mondo che non tornerà più, ad esempio, quando perdi una persona cara. Come dico anche nel testo, non c’è una visione negativa del futuro. Tutt’altro. Io penso che ogni tempo abbia i suoi pregi. Detesto chi dice che i film erano più belli prima. Adesso ci sono le varie Netflix ed Amazon Prime Video, che sono molto fornite. Io sono drogato di serie e di film. La possibilità di fruire, in qualsiasi momento, di prodotti così belli è un sogno, per me e per noi che prima non avevamo questa possibilità. Sono abbastanza fiducioso nell’evoluzione.
Dall’ambito musicale qualcosa manca su questo tipo di piattaforme. Vent’anni fa con l’esplosione di MTV c’era una realtà diversa.
Sì, io ti dico che quando tornavo a casa da scuola, buttavo lo zaino, accendevo MTV e la spegnevo direttamente alle tre di notte. Per me era una specie di suono e sottofondo della mia vita. È anche vero che è stato utile per portare la musicalità in un certo modo. Quel tipo di televisione musicale oggi non sarebbe possibile, perché i ragazzi non stanno tutte quelle ore davanti a quel tipo di schermo.
Un ultimo brano di cui ti chiedo di parlarmi è È Finita La Crisi. C’è una visione ironica di noi italiani forse un po’ troppo menefreghisti e ignari del mondo che ci circonda. A questo proposito, come vedi il periodo storico in cui stiamo vivendo? E poi, in conclusione, è veramente finita questa crisi, secondo te?
Secondo me, no. Per “crisi” io intendo il termine greco che significa “cambiamento”. Non è finita e sono molto contento, poiché spero di cambiare continuamente. Il problema più grave per un artista è quello di rimanere uguale a se stesso. Spesso leggo di Vasco e Ligabue, a cui si dice che fanno tutte canzoni uguali. Quello credo che sia il peggiore insulto si possa ricevere. Preferisco molto di più un Jovanotti che prova costantemente a rinnovarsi, anche se è una questione soggettiva. Quindi, spero che la mia crisi non finisca mai.
In generale, hai colto esattamente il senso della canzone. Sono contento, perché non tutti l’hanno colto. Quella canzone vuole essere ironica, non è una dichiarazione sul fatto che oggettivamente sia finita la crisi. Credo che noi ci siamo accontentati di alcune cose veramente di basso livello. Dalle case ammobiliate con il compensato, come se fossero realmente ammobiliate, fino a lavori in cui i ragazzi prendono ottocento euro al mese e passano per persone che hanno un posto di lavoro. La crisi vuol dire anche un po’ questo. È un invito culturale a non accontentarsi. Potete e dovete puntare ad avere qualcosa in più, sempre più in alto.