– di Martina Rossato –
Qualche tempo fa mi è capitato di conoscere il progetto musicale di candra. Era appena uscita “DEMONIO”, il singolo con cui anticipava l’uscita del suo primo disco, “BONOLA BOY”, pubblicato poi il 18 marzo per Believe. Quel modo di fare un po’ punk e le melodie pop non sono il genere che più ascolto, eppure sono rimasta colpita dalla musica e dalle parole di questo artista così sensibile. “BONOLA BOY” è un racconto autobiografico, una lente d’ingrandimento sulla quotidianità imprigionata nella tossicodipendenza.
Quando ne ho avuta l’occasione, sono stata molto felice di potergli fare qualche domanda.
Ciao Alessandro, è uscito il tuo primo album, “BONOLA BOY”, in un periodo di grande ripresa per la musica. Come ti senti?
Sono molto contento, il disco è pronto da un po’ e non vedevo l’ora che uscisse. Sono contento soprattutto che sia diventato una cosa reale, voglio che giri e che venga ascoltato. Per me l’importante è che “esista” perché è un lavoro di cui sono molto soddisfatto, che mi descrive molto bene artisticamente e non.
Cosa volevi dare al pubblico e come è stata la risposta per ora?
In realtà niente di particolare, volevo solo raccontare una storia che avevo bisogno di tirare fuori e volevo farlo nel modo migliore che potessi. Volevo che uscisse fuori un disco evocativo, che all’ascolto fosse come sfogliare un album di fotografie e “BONOLA BOY” è il risultato. Per ora sta andando bene, sembra che le persone empatizzino con le storie all’interno delle canzoni e questo per me è molto bello.
Il tuo è un racconto autobiografico? Quanto vanno d’accordo Alessandro e candra?
Vanno abbastanza d’accordo e con il tempo è sempre meglio. Dico sempre che il “demone interiore” negli anni si è semplicemente indebolito e si è calmato, è invecchiato e quindi è diventato più semplice da gestire. C’è sempre e non credo se ne andrà mai ma è sempre più tranquillo con il tempo che passa, rassegnato in un certo senso.
È molto presente la città in cui sei cresciuto, Milano. Ti va di parlarmi del tuo rapporto con questa città?
In realtà è Livorno la città dove sono nato e cresciuto, Milano è la città dove sono cresciuto musicalmente e dove ha iniziato a prendere forma l’idea di “BONOLA BOY”. Ho un rapporto buono ma complicato con Milano, mi piace molto ed è stata una grossa ispirazione per me, ma non è stata la via di fuga che mi ero immaginato. Milano è spietata se sei un ragazzo con certi problemi di dipendenza ed io probabilmente non ero ancora pronto.
È il racconto di un viaggio, a che punto del viaggio senti di essere adesso?
Mi sento di essere tornato a casa e tra l’altro ci sono tornato davvero. All’interno del disco ci sono tutte le esperienze fatte durante questo viaggio, le persone che ho conosciuto, alcune che ho soltanto incrociato, posti che ho visto e che non ho visto, altri che ho vissuto tutti i giorni, fino alla nausea. “BONOLA BOY” è stato come mettere un punto a tutto questo, sia dal punto di vista artistico che nella vita, ha segnato la fine di un viaggio appunto e quindi di una storia che secondo me meritava di essere raccontata.
Musicalmente, “BONOLA BOY” è un album tranquillo e anche molto intimo, nonostante le tematiche forti. Cosa significa per te cantare?
È un momento di cui ho bisogno di cantare quello che ho scritto. Per me scrivere è un momento di riflessione molto importante, un modo di confrontarmi con me stesso e tirare le somme. Cantare mi serve per rendere reale quello che scrivo, per tirarlo fuori dalla carta, per capire se mi piace, se può diventare qualcosa oppure no. È come se la mia voce non andasse d’accordo con tutto quello che scrivo ma in alcuni momenti mi aiutasse a scegliere.
Quali sono le collaborazioni che ti hanno aiutato a costruire il disco?
Sicuramente i miei amici e produttori del disco Francesco Scola (paralisi) e Matteo D’angelo. Senza di loro non sarebbe neanche esistito “BONOLA BOY” o quantomeno non così. E poi Michele Corrente, altro amico e manager del progetto, che è per me fondamentale nel far sì che il disco esista al di fuori di noi. Sicuramente avrei fatto poco o niente senza di loro.