_di Giovanni Flamini.
Ma porca puttana!
Verrebbe da esordire così, nell’incomparabile stile di quel critico musicale (anche se di critico ha solo il livello del suo gusto artistico) che ha imbrattato le pagine virtuali di un noto giornale online in questi giorni. Forse sarà capitato anche a voi di leggere l’articolo a cui mi riferisco: quello di Michele Monina su Linkiesta con la foto di copertina di un brizzolatissimo Eros Ramazzotti intento a suonare uno dei suoi “proverbiali” assoli alla chitarra elettrica.
Ecco, se già l’accostamento Monina – Ramazzotti fa tremare le pareti, a farle crollare definitivamente è il contenuto di questo feuilleton romantico-decadente, in cui Monina lascia andare completamente le difese e dichiara il suo amore incondizionato, nonché la sua profonda, profondissima nostalgia, nei confronti del mai abbastanza lodato pop italico di inizio millennio.
L’inizio è quanto mai pomposo: Monina comincia la sua argomentazione dipingendo un affresco apocalittico, quello della fine della musica. La sostanza di quello che segue, poi, è questa: il mercato discografico non si è rinnovato, la rete la fa da padrone, la rete, a quanto pare, è capace di produrre solo immondizia e sciatteria, il mercato discografico si è accorto troppo tardi che alla gente piaceva di più questa presunta sciatteria rispetto alle ballatone patinate, ergo, i cantanti che un tempo erano celebrati con parate e corone d’alloro immaginarie (ma che ben avrebbero potuto essere reali) sono caduti nel dimenticatoio, non riuscendo a coinvolgere chiunque non abbia almeno 40 anni d’età, un divorzio alle spalle e una vita che poggia le proprie fondamenta su frasi retoriche da meme su Facebook. Ergo, per quadrare il cerchio, questa, per la somma penna di Monina, sarebbe la fine della musica.
Il tutto scritto nel suo incomparabile stile a là Lester Bangs, che finisce, però, per assomigliare molto di più a un monologo di Luca Giurato, con tutto il rispetto per Luca Giurato.
Ora, Michè, la domanda che viene da fare è questa: ma stai facendo sul serio? Cioè, veramente? Tu che vai a fare le interviste con le maglie dei Misfits e dei Sex Pistols, adesso ti metti a invocare la fine della musica perché Elisa e Eros Ramazzotti, deo gratias, non se li caga più nessuno?
Non lo capisco. Non ti capisco. Personalmente, è da quando ho iniziato ad appassionarmi alla musica che sogno di ballare con la mia generazione sulle tombe (musicali, ovvio) di questo insulso pop da stadio, che per volontà divina e per lo spirito dei tempi, ora assomiglia più a pop da balera. Era una vita che tutti noi stavamo aspettando questo momento.
Che attinenza ha con la realtà un Marco Mengoni, oggi? Quale rilevanza può avere, nel 2018, il nuovo singolo di Elisa? Cosa hanno da dire di così fondamentale sulla nostra vita? Fondamentalmente non ce l’hanno mai avuta. Anche se, nella loro dabbenaggine, ci avrebbero potuto insegnare molto: dal successo straripante che hanno avuto questi personaggi in tempi neanche troppo lontani avremmo dovuto capire quanto in realtà gli italiani siano superficiali e facilmente raggirabili. Una lectio magistralis a cui stiamo assistendo oggi in campi molto più importanti di quello musicale.
Per cui, Michè, giunti a una certa età, forse bisognerebbe smetterla di scrivere di musica. Se non capisci la trap, non scriverne. Se non capisci l’indie, non scriverne. A quale prezzo sei disposto a vendere la tua anima pur di scatenare polemica? Dobbiamo veramente credere che nei tuoi CD masterizzati (che dire playlist è una bestemmia) convivono Anarchy In The UK e Grazie Di Esistere? Io voglio ancora sperare che non sia così. Nonostante tutte le castronerie che dici. Con buona pace di Johnny Rotten.
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