di Riccardo Magni.
foto di Irene De Marco.
Il 26 maggio 2018 di Roma probabilmente non sarà ricordato come una data di quelle da segnare sui calendari a futura memoria, ma ne avrebbe tutti i diritti.
Ci limitiamo ovviamente alla scena musicale ed alla grande quantità di live che la serata ha offerto, tanti e tali da mettere in difficoltà nella scelta. La coincidenza di date non è certo una novità per Roma e questo fa spesso imprecare noi come tanti altri appassionati, ma sabato 26 maggio 2018 si è toccata probabilmente una vetta: gli Arctic Monkeys all’Auditorium ovviamente, e poi Motta all’Atlantico, ma anche gli Statuto al Monk, i Coma Cose allo Spring Attitude, La Scala Shepard sempre all’Auditorium, Daniele Coccia Paifelman con Leonardo Angelucci allo Sparwasser… Roba che se si fossero potuti riunire tutti in un unico concertone, sarebbe stato un evento grandioso (e perdonatemi se ne dimentico qualcuno).
Bello si, ma il pubblico non è infinito ed in queste occasioni c’è sempre qualcuno che rischia di esibirsi “in pochi intimi”.
Mi è capitato di trovarmi in concerti simili, si galleggia tra l’imbarazzo di essere così in pochi difronte ad artisti che ci mettono l’anima e meriterebbero, umanamente ed artisticamente, platee maggiori, ed il piacere dell’atmosfera intima, il sentirsi nel mood “io, noi, siamo qua, abbiamo gusti migliori, e tu artista che ci guardi in faccia uno per uno, sai che noi ti apprezziamo sinceramente”.
Ecco, nella sera del 26 maggio di Sparwasser si è verificata in pieno la seconda ipotesi, ma non perché non ci fosse pubblico per il live di Daniele Coccia Paifelman, anzi, il piccolo circolo Arci di Via del Pigneto era piuttosto popolato, piacevolmente più di quanto mi aspettassi viste le circostanze descritte, ma perché un po’ il locale, dove è facile sentirsi a casa, e un po’ l’ammirazione personale per l’autore ed il cantante Coccia che mi porta ad essere tra gli habitué dei sui concerti, che sia in forma solista, o Surgery, o Montelupo, o ancora di più, Muro del Canto, hanno costruito un piacevole mix di coinvolgimento ed intimità.
Leonardo Angelucci in apertura sprigiona la sua solita energia, è bravissimo ed ha una bella voce, l’unico suo “problema” è che probabilmente risulterebbe fresco e simpatico anche cantando storie sull’apocalisse. Dopo l’ultimo pezzo in scaletta non c’è cambio palco, perché lui ed i suoi musicisti sono anche la band di Daniele Coccia, che prende posto al centro ed in poche note e poche parole, ha già portato tutti nel suo mondo. Il timbro vocale è praticamente inconfondibile e ti conduce all’istante nella dimensione della sua poetica, anche questa equivalente ad un marchio di fabbrica. Il disco solista “Il cielo di sotto” è ormai assimilato e senza l’effetto novità, si godono in pieno le canzoni, figlie di un cantautorato che affonda le radici nell’alta vecchia scuola e che, con le loro suggestioni “scure” evocano mondi all’apparenza tanto lontani, in cui però ci si sente pienamente immersi. Storie di costrizione e voglia di libertà, di ricerca di un amore “ancestrale” che ricongiunga alla natura da cui ci siamo estraniati, di immaginazione e sogno che portano l’anima molto più lontano di dove qualsiasi corpo potrebbe spingersi. Un mood che non cambia anche sulle cover dei suoi Surgery (apprezzatissima) e di Patty Pravo. Il tutto condito dagli scambi di battute con lo zoccolo duro schierato in prima fila, seduto anche per terra, di cui Daniele conosce ogni viso ed ogni nome.
Finisce il concerto e tra applausi e complimenti, Leonardo Angelucci mi si avvicina con un foglio in mano: “Avevamo detto, alla fine lo daremo alla persona più simpatica, che però deve incorniciarlo in cameretta”. E’ la sua scaletta e non me ne voglia nessuno, probabilmente sono stato solo il primo che si è trovato difronte. Ma è un bel regalo, ci sono le firme di tutti ed una X. “Questo è Liberato” dice.
Grazie Leo, per me sareste stati tantissimo anche “solo” voi.