Esordio da cantautore (o da lupo punk solitario) di Paolo Gerson dal titolo “Le ultime nuove dal suolo in alta fedeltà”. Un’autoproduzione pubblicata da Maninalto! Records, un disco che in tutto e per tutto mi riporta al tempo delle periferie, al tempo di scuola e dei garage, al tempo dei pub e dei primi live del sabato sera. Sabato perché così la domenica si dorme. Ma oggi quel gusto punk che mi aspettavo prepotente, visto che lui era il leader dei Gerson, dunque parliamo di punk italiano di origine controllata, si veste di accomodanti soluzioni pop e anzi si sbiadisce di tutta l’arroganza che avrebbe meritato: il risultato è un disco suonato, che in superficie (e solo in superficie) pare sporco di rock, pare avere dell’acido e della ruggine come il cliché comanda o come forse ci vogliamo aspettare noi tremendi e irrimediabili nostalgici. Ma la verità è che “Le ultime da suolo in alta fedeltà” è un disco di cantautorato moderno, in stile indie come si suol dire ora e che appena sotto la buccia presenta uno strato di belle melodie e soluzioni accattivanti e di gran gusto a fare da corredo a testi sociali pregni di un’autoironia che è segno di grande intelligenza. Le chitarre sono troppo educate, la batteria troppo massiccia e composta e la voce troppo indie per essere un disco punk. Va detto però che brani come “La conta dei danni” o “Con tutta una morte davanti” di cuore mi fanno vibrare gli ormoni dei bei ricordi, di quando girava il “punk pop” degli Articolo 31 per esempio (complice anche questa voce di Gerson che mira proprio in quella direzione). Un bel disco davvero: certo non è punk ma attenzione, perché neanche aveva promesso di esserlo. Erano film che mi facevo io. Anzi: dico che è davvero quello che sembra e questo mi piace davvero tanto.
La prima grande domanda è quasi ovvia: perché abbandonare il punk oggi che si ha un forte bisogno di rivoluzione sociale?
Credo che siano le idee a portare novità e voglia di cambiamento e se dal punto di vista musicale sono più “soft” ben venga, è pur sempre un gesto rivoluzionario quello di cambiare le carte in tavola.
Ma soprattutto: come sei riuscito a codificare la rabbia che immagino nel punk ad un linguaggio a tratti dolce e a tratti autoironico?
Mi è sempre piaciuto scrivere. A volte in maniera dissacrante, in altre ho lasciato più spazio alla poetica. Ecco, diciamo che questa volta mi sono fatto “prendere la mano” e ho privilegiato un linguaggio più riflessivo, senza abbandonare quell’ironia che mi accompagna da quando ho preso il microfono in mano, anni e anni fa.
Che poi è solo mia l’impressione – e me ne scuse se è sbagliata – che in questo disco c’è dell’autoironia? Come a non prendersi troppo sul serio… è un gran gesto di umiltà in un’era di supereroi, non credi?
Sono d’accordo. C’è dell’autoironia, ovviamente, e poca voglia di prendersi sul serio in una società dove si fa a gara per somigliare sempre di più a un modello vincente. A me non importa, non ho mai cercato l’approvazione, non so nemmeno se si tratti di umiltà o chissà cos’altro, so solo che è molto facile fare i supereroi quando si è sicuri di schiantarsi sul morbido. Capito?
E proprio parlando di supereroi mi piace assai quando chiedi di far silenzio per favore. A forza di parlare non si capisce più niente…
Ecco una della piaghe alle quali ci si trova davanti ogni giorno. Tutti hanno qualcosa da dire, da sentenziare, il problema è che non hanno nessuna capacità di autocritica, di capire che forse non stanno dicendo nulla di interessante, che forse sono ovvi e continueranno a esserlo, sempre e comunque. C’è troppo rumore, causato in parte anche dai social e da quello che ci propinano. Ho quindi scritto “silenzio per favore” perché almeno io mi sono stancato di sentire e a volte, di parlare.
Un primo disco personale. Col senno di poi rimpiangi il punk dei Gerson o sei assolutamente convinto di questa nuova dimensione?
Questa è una domanda che mi aspettavo. Non rimpiango, ma senza dubbio non rinnego nulla di quanto fatto con la mia ex band. Avevo solo voglia di cambiare aria, di cercare sonorità diverse, di misurarmi con ascoltatori anche diversi. Quindi sì, sono convinto della mia nuova dimensione che tra l’altro deve ancora prendere forma, ci vorrà tempo, come per tutto del resto.
Anche se non ho nemmeno io ben chiaro durata e scadenze del progetto.