– di Edoardo Biocco.
Foto di Francesco Ballestrazzi –
Gianni Maroccolo lo aspettavamo da sei mesi esatti, e puntuale il 17 dicembre si è presentato assieme al terzo volume del suo disco perpetuo. Ogni sei mesi, infatti, l’ex Litfiba aggiorna con un nuovo capitolo di Alone la saga della sua vena artistica sempre più fertile, prendendo in esame di volta in volta diversi temi da mettere in musica. Proprio la musica si presenta ermetica e potente, evocativa ma comunque enigmatica: complessa tanto quanto lo sono gli ambienti umani che descrive.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Gianni per capire come sta andando la sua musica “a puntate” regolari, come si stimola la creatività e molto altro ancora.
Il 17 dicembre siamo arrivati al terzo volume del tuo disco perpetuo. Dopo un anno esatto dal primo capitolo si iniziano a tirare le somme?
Diciamo che vorrei iniziare a fare un bilancio sia sui contenuti, sia dal punto di vista artistico e compositivo e musicale a partire dal quarto volume, una volta chiuso il primo ciclo, proprio per poterli riascoltare tutti uno dopo l’altro, anche se già da ora ho la tentazione di farlo, ogni tanto. Specialmente sotto il profilo dei contenuti preferisco non sbilanciarmi perché (nonostante io abbia in mente di far proseguire il progetto anche dopo il quarto volume) mi ritengo ancora in viaggio, e a giugno concluderò la prima parte di questo percorso, e lì farò le mie valutazioni. Per adesso posso vedere che nonostante quella del disco perpetuo non sia un’idea dettata dal marketing, è stata recepita bene, con grande affetto e sono felice di essere stato compreso nelle intenzioni, anche se mi rendo conto che siano tutti dischi di composizione pura, non “trattata” quindi piuttosto difficili. Chi si avvicina ad “Alone”, in qualunque suo volume, ha la consapevolezza di avvicinarsi ad una musica altra, che dal canto mio mi fa capire che anche in Italia c’è la possibilità di ascoltare qualcosa di diverso.
Di diverso rispetto al solito nel volume tre di “Alone” c’è anche il tema che hai scelto di trattare: la violenza sui più deboli. Cosa ti ha fatto scegliere questo campo d’indagine?
In realtà questo sarebbe dovuto essere il tema principale del primo volume del disco perpetuo, più specificamente il femminicidio, poi invece l’illustratore Cazzato mi propose l’immagine del bue muschiato, animale che non vive in branco e che mi ha orientato maggiormente sul tema della solitudine. Questa volta invece ho indirizzato io l’illustrazione di Cazzato verso il tema del femminicidio e, dopo avergli sottoposto alcuni brani musicali, ci è venuto naturale pensare alla libellula come immagine di riferimento. Inevitabilmente nella vita ci sono delle cose che ti colpiscono e ti addolorano costringendoti a farti calare la maschera di fronte ai grossi limiti che noi come esseri umani ci poniamo credendoci la razza migliore quando invece siamo gli ultimi ad essere comparsi sul pianeta. Io mi ritengo una persona positiva, ma credo anche che ogni musicista abbia dei doveri che vadano oltre il godersi la fortuna di vivere della propria arte, uno di questi doveri è quello di rendersi portatore di un qualcosa. Nel mio caso si tratta di provare a far riflettere con la mia musica su alcuni aspetti della vita, anche aberranti se necessario, ma con la speranza che se qualcuno un domani dovesse assistere a un qualche tipo di violenza, possa essere in grado di fare qualcosa di diverso dal chiudere la finestra.
E pensi che l’Italia di adesso sia un po’ troppo succube di questa violenza?
Chiaro, penso che sia una conseguenza della modernità in generale. La modernità ha portato parecchi miglioramenti, ma come ogni cambiamento, ha portato con sé anche qualcosa di negativo. Nello specifico credo che abbia reso possibile che certe cose venissero alla luce, io non credo che cinquant’anni fa la situazione fosse molto diversa da questa, è cambiato il modo di comunicare le notizie e di informarsi. Non parliamo comunque solo di soggetti a cui parte il neurone e compiono atti violenti, ma del risultato generale della condizione sociale e culturale in cui ci siamo ritrovati negli ultimi vent’anni. La negatività nella modernità alla fine è proprio questa: la guerra fra poveri che mentre è in atto permette a chi gestisce il potere di fare ciò che vuole. Ovvio che in un contesto simile, non dico che la violenza sia giustificata, ma quantomeno che sia ormai entrata a far parte della vita di tutti i giorni, e la si vede con più leggerezza, senza pensare a ciò a cui porta una spirale simile di pensiero. Un musicista non potrà far molto, ma almeno provare a fare qualcosa di sensato…
Come mai proprio la libellula come simbolo di tematiche così forti e, se vogliamo, pesanti?
Se ci pensi la libellula è un insetto che passa gran parte della sua vita nella melma delle paludi, e in qualche modo siamo anche un po’ noi a dover essere in grado di liberarci di quella melma e trasformarci in altro.
E si può uscire dal pantano?
Io non so se c’è un modo, di sicuro so che esiste la possibilità e ci sono diversi casi che lo dimostrano, anche se la comunicazione di oggi non ce ne mette al corrente. In uno dei due testi che mi ha ispirato (quello di Mirco Salvadori) ad esempio manca totalmente la speranza di uscita dal pantano, una vita di violenza che si traduce in una realtà no-future,in un altro, recitato da Luca Swanz, invece la libellula ce la fa ad abbandonare la melma. Poi queste sono immagini e suggestioni: non è detto che la libellula che esce dalla palude simboleggi necessariamente la trasformazione di un carnefice in una figura positiva, potrebbe invece raccontare di una vittima che finalmente trova la forza di lasciarsi alle spalle la violenza.
Però tutte queste tematiche vengono espresse nel progetto tramite una musica che assomiglia quasi ad una colonna sonora. Come funziona questa catena dell’ispirazione fra te, le illustrazioni, i racconti e tutto quello che ruota attorno al disco perpetuo?
Questo io lo definisco innanzitutto un progetto solista musicalmente parlando (come per altro suggerisce anche il titolo che gioca fra l’inglese e l’italiano) che però non può prescindere da tutta una serie di influenze esterne. Uno come me a cinquant’anni si ritrova solo a far musica dopo che gli è andata davvero molto bene nei due gruppi in cui ha militato e non ha più voglia né di tentare il destino né di spendere energie su progetti d’insieme. Allora ritrovatomi da solo ho avuto la possibilità di far partire da me l’input che stavolta non è stato mediato dalle sovrastrutture classiche che nascono quando si fa musica in un gruppo, però amo condividere le mie cose. Ho chiesto a Mirco se gli andasse di raccontare a parole i temi della mia musica e a Marco Cazzato di illustrare ogni singolo volume. Il tipo di musica contenuta in questo progetto dà modo a chiunque di leggerci quello che vuole ed emozionarsi come meglio crede, abbiamo voluto aggiungere qualche elemento in più solo per aiutare a far comprendere cosa musica e suoni tentassero di comunicare.
Quindi ci aspettiamo un nuovo lavoro d’ensemble anche per il IV volume?
Sì sì, per altro il quarto è già in lavorazione. Per fortuna da una decina d’anni ho avuto modo di recuperare il mio rapporto con la musica che era ormai diventata quasi solo un lavoro, mi mettevo a suonare giusto se avevo in programma un tour o cose simili. Circa dieci anni fa ho avuto una semplice illuminazione: sono un musicista. Se un impiegato delle poste tutti i giorni va a lavorare, io tutti i giorni accendo le macchine e suono, anche senza una finalità specifica e così ho “normalizzato” questo esercizio che non è mai solo esercizio di stile ma un modo per ritrovare l’ispirazione anche sciolta dalla logica del gruppo.
Nel prossimo volume vorrei parlare del grosso tema della sanità e delle alterazioni della mente, dopo aver letto di numerosi casi (come quello di Mastrogiovanni) ho deciso di esplorare quello che per me è un po’ un terreno anche sconosciuto a cui mi avvicino con molta cautela, non essendo io poi un amante dei cosiddetti “strizzacervelli”, ma è comunque ancora tutto da definire.