“Retrò” (ed è “retrò” di nome e di fatto) è il quarto album del cantautore Giovanni Block, uscito per La Canzonetta Record.
– di Lucia Tamburello –
Se fino a qualche anno fa il panorama musicale italiano era alla continua ricerca di modalità espressive nuove e di continui elementi di rottura con il passato, ultimamente sono numerosi i musicisti che si rifanno a generi in voga negli anni precedenti modernizzandoli solo parzialmente.
Tra il grande ritorno dell’emo o del funk, le contaminazioni punk all’interno della trap, il discusso glam rock dei Måneskin e giovani rock band alternative al nulla, il cantautorato non è da meno. Uno degli artisti che asseconda questa tendenza è il napoletano Giovanni Block.
A distanza di circa dodici anni dal suo debutto con il disco “Un posto ideale”, l’accumulatore seriale di premi della critica abbandona totalmente i canoni classici del pop contemporaneo. Prosegue in questo nuovo lavoro con la linea stilistica anticipata già nel precedente lavoro “Le metamorfosi di Nanni”. Si rifà in “Retrò” alla semplicità della musica d’autore nazionale degli anni ’60 e ’80 utilizzando pochi elementi tradizionali, nulla di mai sentito.
Questa caratteristica, paradossalmente, gli permette di spiccare in un panorama discografico denso di synth egocentrici e abusi di auto-tune. Fatta eccezione per il brano “L’amore e il veliero – Reprise”, registrato al piano, la costante dei pezzi è la sua voce accompagnata dalla chitarra capace di trasmettere una dimensione particolarmente intima, ma adatta ad assecondare la contestazione e il sarcasmo dei temi trattati nei testi. In molti pezzi c’è un richiamo alla musica latina con delle particolari sezioni ritmiche e strumenti come il tres, il charango e il cuatro.
Come ogni disco cantautorale che si rispetti, “Retrò” ha i suoi pezzi d’amore. Il primo è “Sposami sul mare”, che apre il disco raccontando uno scambio di sentimenti atteso, non per la sua stessa esistenza, ma per i benefici che ne derivano.
Il rapporto viene visto, infatti, come la cura alla monotonia di una “vita operaia”. L’ambientazione è indubbiamente vintage. Da far invidia a Jimmy Fontana, la ballata sembra provenire da una radio di un adolescente degli anni ’70.
Anche “Il primo tra i Fanti” oscilla tra amore e critica sociale dedicandosi maggiormente all’autocritica, svelando tutta l’ipocrisia che ci caratterizza come esseri umani. Questa volta, però, entrano in gioco gli archi e delle percussioni artigianali rispetto alle precedenti.
L’uscita del disco è stata anticipata anche dal singolo “Vi odio” che, con suoni che rimandano blues rock e un testo giocoso se confrontato agli altri, fa da dedica misantropa riprendendo le argomentazioni della seconda traccia.
A metà album il richiamo alle colonne portanti del cantautorato italiano si fa sempre più evidente. “La ballata dei Ricordi”, il featuring con Petra Magoni premiato a Torino nel corso del Premio Gian Maria Testa 2022 come migliore performance, è il tipico pezzo alla Da André che strizza l’occhio anche al reggae.
Questo elemento diventa funzionale allo sguardo verso il passato, centrale nel brano. Non da meno è “35” che, sempre in chiave “faberiana”, confronta la morte bianca di un giovane operaio per trentacinque euro con la vita lussuosa di Ronaldo mettendo in evidenza l’enorme disparità economica che caratterizza la società occidentale.
“L’amore e il veliero” potrebbe ricordare i pezzi più romantici di Vinicio Capossela. Il charango, il mandolino e la fisarmonica danno un tocco folk in grado di creare un’atmosfera leggera e spensierata. La stessa sensazione può essere percepita nel brano successivo, “La pioggia nell’orto”, cantato con Attilio Fontana, in cui un coro di bambini accompagna tutto il ritornello.
Compensa “Preghiera dell’artista”, la canzone più profonda del disco. Si tratta di una confessione intima e profonda con pochi elementi (chitarra, voce e archi) che fa da supplica diretta e senza mezzi termini all’ascoltatore.
Con la nona traccia torna la critica sociale: “La meritocrazia” descrive le disillusioni di una generazione cresciuta con la convinzione, drammaticamente svanita negli anni, che l’impegno sarebbe stato sempre e comunque ripagato.
Chiude il disco “I gatti lo sapranno” che, traslando in musica alcune opere di Cesare Pavese, riassume le due atmosfere che si sono susseguite in tutto il disco: dramma e amore convivono spassionatamente nella stessa canzone.
Giovanni Block è una delle migliori penne italiane degli ultimi anni. È sempre più raro trovare artisti che sappiano unire un linguaggio schietto, quasi colloquiale, con temi profondi e riflessioni non banali.
Rifugiarsi nel passato fino a questo momento della sua carriera è stato un buon escamotage per l’artista. Sarà una grande sfida mantenere questa cifra di fronte ad un pubblico che, pur assecondando la tendenza démodé odierna, pretende comunque una deviazione su un altro genere o stile.