– di Michela Moramarco –
I Ministri hanno da poco pubblicato il loro nuovo singolo “Scatolette”, una ballata amara che anticipa il loro album dal titolo “Giuramenti” in prossima uscita. Il brano racconta della situazione della musica attuale, come si è detto caratterizzata da un retrogusto amaro di un qualcosa la cui essenza è mancata per un po’. I Ministri però sono pronti a scaldare i motori per ripresentarsi con una nuova linfa al pubblico, che potrà passare dalla trepidante attesa al sottopalco molto presto. Abbiamo parlato della musica attuale e dei paradigmi dell’ascolto, ma non solo, con Federico Dragogna, chitarrista e autore della band.
Il vostro nuovo singolo si intitola “Scatolette” ed è una ballata dal sapore amaro: come mai la scelta di pubblicare un singolo di questo tipo? Può essere una scelta legata al bisogno di riflettere con uno sguardo abbastanza attento all’attualità?
Dunque, le nostre scorse pubblicazioni sono state un EP e un brano molto forti a livello di sonorità, molto energici. Con questo brano invece ci interessa aprire un discorso più ampio sulla situazione della musica, ma anche presentare l’album per proseguire quindi questo discorso in modo unitario. Certo, magari da una rock band ci si aspetta sempre la furia e ritmi veloci e indiavolati, però di colori ce ne sono tanti. Una cosa che è sempre piaciuta ai Ministri è quella di poter raccontare anche cose complesse. Siamo stati sempre grandi fan della complessità. Quindi il discorso che vogliamo portare avanti sembra dire “voi ci volete fermare ma noi non ci faremo bloccare”. Cerchiamo di mediare, ecco.
Parlare della crisi della musica con la musica può essere un paradosso avvincente o forse invincibile, che determina la vostra cifra stilistica ed espressiva. Che ne pensi?
Direi che non si tratta soltanto della crisi della musica, perché la musica non è sparita. È però sicuramente una crisi dei musicisti. Il fatto che un musicista possa mantenere una propria autonomia anche lavorativa dipende da molti fattori. Mi chiedo cosa potrebbe succedere se, come succede nel mondo del calcio, anche la musica fosse legata a dei marchi.
In queste ore che riempiono un periodo storico in cui la cronaca è sempre più nera, credete che sia la musica ad essere sempre più leggera o gli ascoltatori ad essere sempre più superficiali?
Non saprei, una volta, quando la musica si pagava c’erano paradossalmente molte più persone pronte a spendere per la musica. Altrimenti ci si accontentava di quella che passava in radio. La cosa che è successa con l’avvento dello streaming è che chi ci ha veramente rimesso sono le persone che erano a loro volta supportate da altre persone che spendevano per la musica. Cioè le persone per cui la musica voleva davvero dire qualcosa si sono ritrovate nella condizione di non poter neanche più sostenere i propri beniamini. Questo fenomeno è stato problematico. ma la musica di consumo c’è sempre stata. A cambiare drasticamente è stata la filiera. Prima della pandemia si diceva che c’era la dimensione live a rimediare, in modo che i fan potessero sostenere i propri beniamini. Poi tutto questo non si è potuto più fare: è venuto a mancare qualsiasi sostegno.
La musica è una forma d’arte che esiste davvero solo nel momento in cui esiste la sua esecuzione. Il vostro tour inizia fra poche settimane. Quali sono le vostre aspettative? E quali sono le aspettative o magari le speranze che credete caratterizzano gli animi dei vostri sostenitori?
Vorrei usare a questo proposito la parola speranze. È un modo tale che la gente possa riemergere da quest’impasse, quindi da questa situazione di paura tanto radicata fin sotto la pelle. La situazione attuale non è più emergenziale, questo possiamo dirlo. Il punto è che il sistema dell’Informazione è diverso rispetto a una volta e comunque procede con un approccio invasivo, quasi d’attacco. Ormai abbiamo il mondo dell’Informazione in tasca ed è chiaramente una cosa pervasiva. Ecco, forse prima era più facile spegnere il mondo. Adesso sembra che la paura stia lasciando il passo ad un altro tipo di paura e diventa difficile riuscire a costruire qualcosa in questa situazione, ma è difficile anche guardare un po’ più in là, tornare a occuparsi di sè, non in senso egoistico, bensì con amore verso il sé.
La vostra esperienza artistica di band mi fa immaginare che per I Ministri sia stata una sofferenza psicologica ma anche fisica non poter esprimersi nella dimensione live come magari era stato possibile in passato. Come l’avete vissuta?
Hai detto bene, il live è una cosa che manca anche dal punto di vista fisico oltre che psicologico. È una cosa che se manca per due anni, si fa sentire, nell’animo e nel corpo. Anche se abbiamo assaporato l’esperienza del live la scorsa estate con il pubblico seduto. Il live è un momento necessario: non credo ci sia più nessun motivo per non farlo!
Da musicista, qual è l’approccio mentale per presentarsi al meglio davanti ad un pubblico che non vede l’ora di ascoltarvi?
Oltre alla pubblicazione del video del bano “Scatolette” in cui si narra che noi siamo una compagnia di spedizioni e andiamo a regalare ai nostri fan una nostra canzone segreta. L’idea è quella di togliere gli intermediari di mezzo, visto che in questi anni si è parlato con il pubblico solo per mezzo di qualcosa appunto.
Spoiler sul nuovo album dei Ministri?
Il nostro nuovo album si intitola giuramenti e lo pubblichiamo venerdì sei maggio e uscirà dopo il tour perché ci tenevamo a fare un tour nei live club che è l’ambiente in cui siamo cresciuti in questi anni. L’album contiene “Scatolette” e anche il brano “Numeri”. È un disco di nove pezzi ed è un disco molto elettrico e molto sognante, ma non sempre di sogni che si possono disegnare per scelta. Un disco che mantiene comunque un po’ dell’amarezza accennata. Sarebbe stato impensabile fare altrimenti.