– di Assunta Urbano –
Il viaggio dei Réclame ha avuto inizio dall’incontro fra Marco Fiore (voce) ed i fratelli Roia, Edoardo (batteria), Gabriele (basso) e Riccardo (tastiere).
La band, che ha come collante il cantautorato tradizionale e le sonorità pop più moderne, ha preso parte alla scorsa edizione di Sanremo Giovani. Competizione che ha permesso loro di arrivare alla semifinale con il brano Il Viaggio di Ritorno e di mettere un primo tassello concreto nel puzzle del panorama musicale italiano.
Di certo, il grande traguardo è arrivato il 29 maggio con l’uscita del primo lavoro discografico. Venerdì scorso, dunque, con la supervisione di Daniele Sinigallia, è uscito Voci di Corridoio, che ha segnato l’esordio dei Réclame.
I protagonisti al centro della scena sono otto personaggi tra loro complementari, che si aggirano tra le camere di questo corridoio immaginario. Oltre alla canzone portata sul palco di “Sanremo Giovani”, sono stati estratti negli scorsi mesi altri due pezzi dall’album, ovvero Due Amanti e Cosa Resterà?. Di questo e di altri dettagli riguardo il progetto abbiamo parlato con la voce del gruppo Marco Fiore.
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Uno dei tratti distintivi dei Réclame è il guardare al futuro con una forte impronta tradizionale italiana. In un panorama artistico in cui si punta quasi sempre sul “nuovo”, che importanza credi abbia il cantautorato oggi e che impatto ha avuto su di voi, in particolare?
Noi nasciamo come grandi amanti del cantautorato classico, degli anni Sessanta/Settanta. In un primo momento scrivevamo canzoni in inglese, ma poi successivamente ci siamo innamorati della forma della canzone in italiano e abbiamo iniziato a cimentarci con quella. Sicuramente ha avuto grande influenza su di noi Fabrizio De André. La scuola di quegli anni ci ha travolti, soprattutto dal lato testuale, per l’esigenza di narrare. Un aspetto che con il passare degli anni si è perso. La voglia di raccontare, non solo di esperienze quotidiane, non in prima persona, ma cercando di prendere e costruire dei personaggi propri e dare loro una voce. Questa è una pratica che oggi non va per la maggiore, ma è distintiva del cantautorato tradizionale e ci piacerebbe riportarla in auge. Sicuramente il disco guarda al futuro dal punto di vista delle sonorità. Vuole essere contemporaneo, ma vuole anche guardare al passato. Non tramite l’utilizzo di citazioni sterili, che in generale non ci piacciono molto. Preferiamo creare qualcosa che abbia i piedi ben piantati nel cantautorato, perché fa parte della nostra formazione e dovrebbe far parte del DNA di qualsiasi italiano, di qualsiasi musicista o scrittore di canzoni. Per quanto riguarda il sound siamo aperti alla sperimentazione, a tutti i generi contemporanei, dal synth pop fino alla commistione dell’elettronica con l’acustica. Abbiamo anche nel disco pezzi che si rifanno alla new wave mescolata con un pop anni Ottanta alla Battiato. C’è un po’ di tutto. La cosa più importante è il concetto di narrazione da un lato e l’unione delle sonorità più contemporanee.
Venerdì 29 maggio, come sappiamo, è uscito il vostro disco d’esordio Voci di Corridoio, che hai appena introdotto. Parliamo del lavoro e di cosa rappresenta questo traguardo nel tuo percorso musicale.
Sicuramente è il coronamento di un sogno, a nome di tutti noi. Lavoriamo a questo disco da almeno due anni. Vederlo pubblicato, in un momento come questo, è diverso, dato che non si può girare per presentarlo live. Ad ogni modo, arrivare al compimento di un lavoro che ha attraversato anni di gestazione ci fa molto piacere. È un album in cui ci sentiamo molto partecipi, tutti insieme, di ogni singola idea sonora e di ogni singolo quadro musicale delle otto canzoni. In particolare, il tutto è frutto di una grande voglia di confrontarsi, sia tra di noi, che con il mondo che è cambiato.
Poco fa mi parlavi di quest’importanza della narrazione. Il lavoro ha otto canzoni per otto personaggi diversi, anche se talvolta può apparire come il racconto di una sola persona in differenti fasi della sua vita. Come nascono i protagonisti di Voci di Corridoio?
Guarda, la nascita degli otto brani dal punto di vista testuale è stata molto aleatoria. Ci sono state delle suggestioni venute da più branche artistiche, tra cui visioni cinematografiche o letture di romanzi. Così come anche ascolti approfonditi di altri compositori e musicisti. Gli otto personaggi, dal canto letterario, sono completamente differenti gli uni dagli altri, così come le sonorità, in egual modo distanti tra loro. Però, tutti convivono all’interno di questo unicum. Mi piace tanto l’immagine del corridoio, che è presente dal primo all’ottavo brano. Man mano che l’ascoltatore muove i suoi passi all’interno di queste narrazioni diventa sempre più stretto e rarefatto. In questo corridoio ci sono gli otto personaggi, che vivono negli otto locali, gli otto appartamenti, che l’ascoltatore può solo vedere dall’uscio. Può solo interfacciarsi con un frammento significativo, che dà senso a quei personaggi, ma non ne costituisce la loro totalità. È molto importante. Quando si scende a patti con la narrazione non si considera mai la totalità del personaggio, ma si prende una parte di quell’esistenza e si tenta di renderlo emblematico. È una cosa importante, legata anche al titolo Voci di Corridoio. Queste voci trovano un’unione anche confusionaria e contrastante all’interno di questo corridoio, lo spazio comune in cui i dirimpettai si riuniscono, si incrociano e trovano un confronto. Da un altro lato, Voci di Corridoio significa anche voci non confermate, dicerie. Se guardiamo “una parte di una vita”, dobbiamo ricordarci che si tratta solo di una parte. Ovviamente chi scrive, cerca di rendere quel momento più emblematico e totalizzante possibile. Però, è sempre un frammento e bisogna prenderlo per quello che è.
Quanto c’è di autobiografico in questi personaggi?
Ci sono delle suggestioni che partono dalla vita reale, è vero. Al centro, c’è sempre una mediazione all’interno dei brani. Si tratta, in realtà, di qualcosa di lontano dalla propria quotidianità personale. Il modo in cui ci approcciamo alla scrittura è diverso dalla semplice descrizione di un frame personale. La descrizione non è una narrazione. Il nostro tentativo è appunto quello di portare una narrazione e spero si senta questo. Spesso si punta solo ad arrivare, il che è più semplice perché implica l’immedesimazione da parte dell’ascoltatore. Il confine tra l’immedesimazione con una descrizione spicciola diretta e la banalità è molto labile. Il problema è questo. Bisognerebbe aprire di più questo spettro.
Entriamo, invece, in questo corridoio metaforicamente, addentrandoci nelle canzoni. L’album si apre con Il Viaggio di Ritorno. Che cos’è per te questo “viaggio di ritorno”?
Il brano iniziale è la ricerca di un’emancipazione da parte di un protagonista che forse non ha la forza di evadere dalla sua routine. È avviluppato da quella che è la società in generale, unita anche ad altre questioni personali. Ha un peso sulle spalle, ecco, da cui non riesce a liberarsi. Il monito – se di monito si può parlare – della canzone è quello di ricercare in tutti i modi di smarcarsi da questa pressione dalla società e dalle sue imposizioni. Quello che siamo dovrebbe dipendere da una scelta personale e non dal mondo circostante. Molto spesso non si riesce a raggiungere questo traguardo. È anche la volontà di abbandonare un pensiero, di camminare finalmente “a testa alta” e non “con gli occhi stanchi” come si canta nel ritornello.
E proprio con questa canzone avete partecipato all’ultima edizione di “Sanremo Giovani”. Come avete vissuto quell’esperienza?
È stato bellissimo calcare un palco come quello del Casinò di Sanremo. Fare un’esperienza televisiva – era la prima volta per noi – è stato straordinario. Abbiamo fatto i conti con una serie di dinamiche televisive con cui non eravamo avvezzi, ma che ci hanno portato ad una maturità superiore, rispetto a quella che avevamo prima. In generale, è un’esperienza che ci ha formato.
Un’altra esperienza che vi ha formato senza dubbio è stata la collaborazione con Daniele Sinigallia, che si è occupato della produzione di Voci di Corridoio. Cosa ha significato lavorare con lui?
Daniele Sinigallia è davvero un grande produttore ed è una persona che sa lavorare con i musicisti. Cosa molto difficile. E lo dico io in prima persona, che suono quotidianamente con tre splendidi musicisti, i tre fratelli Roia. Non è per nulla facile riuscire a captare le esigenze individuali di questa particolare “razza”. Talvolta molto scomoda e fastidiosa, in altri casi geniale, quando si crea qualcosa con uno strumento. Daniele aveva sin da subito la voglia di assecondarci e soprattutto è riuscito a traghettare tutto il progetto senza forzarlo. Spesso il produttore cerca di imporsi all’interno della realizzazione artistica di un progetto. Invece, lui è stato in grado di essere presente, ma allo stesso tempo, invisibile. Questo si sente all’interno del disco, perché c’è tutta la sua verve creativa, ma si sente anche la grande libertà che ha lasciato ad ognuno di noi. Poi Daniele non ha bisogno di presentazioni, è un musicista straordinario ed è un produttore storico romano, che ha abbracciato tantissimi lavori degli anni Novanta. Un tratto che si sente anche nel nostro disco. Grazie a Dio ci è capitata questa fortuna!
Cosa Resterà, quasi in chiusura dell’album, è il brano che forse più vi dipinge, per il suo naufragare nel tempo. “In balìa di questo nuovo giorno”, riportando una line del testo alla situazione in cui ci troviamo, cosa resterà, secondo te, di questi ultimi mesi? Pensi influenzeranno anche la tua musica?
Tutto quello che viviamo quotidianamente influenza noi stessi, il mondo, gli altri, il modo in cui guardiamo ciò che ci circonda. Di certo influenza la nostra vita, prima che il modo di scrivere. Sul futuro, sono abbastanza pessimista. Non credo nella purificazione delle coscienze e nella catarsi collettiva. Non vedo perché dovrebbe cambiare così tanto il pensiero comune. Magari cambieranno dei tecnicismi della società, ma l’individuo resterà più o meno lo stesso. L’arte dovrebbe cercare di premere l’acceleratore e di portare a riflettere su quella che è la situazione che abbiamo vissuto e su noi stessi.