– di Martina Zaralli
foto di Georgiana Acostandei –
Dieci anni fa, con “L’ammazzasette”, Il Muro del Canto iniziava a farsi conoscere al pubblico. La formazione romana è davanti a un primo, decennale, traguardo discografico scandito da quattro album, innumerevoli live e tantissimi riconoscimenti. Per non parlare dei consensi, sempre crescenti, dai fan della prima ora agli ultimi arrivati. La modernità incontra la tradizione in un cantato popolare fuori dal tempo: sarà l’energia della loro musica, sarà il dialetto romano usato nei loro testi, ma le storie che ci raccontano sembrano davvero uscire dalla forma canzone per trasformarsi in una narrazione molto più teatrale in cui è naturale sentirsi a proprio agio nelle immagini che il brano restituisce.
Daniele Coccia Paifelman (voce), Alessandro Pieravanti (voce narrante e batteria), Eric Caldironi (chitarra acustica), Ludovico Lamarra (basso elettrico), Franco Pietropaoli (chitarra elettrica) e Alessandro Marinelli (fisarmonica), dopo l’ultimo capitolo discografico del 2018, L’amore mio non more, e dopo lo stop forzato dai concerti per l’emergenza sanitaria, tornano a rinfrescarci la memoria con “Cometa” (pubblicato lo scorso 24 dicembre per Fiori Rari), dove se da una parte l’imprevedibilità e le difficoltà della vita fanno da colonne portanti al pezzo, dall’altra c’è un forte messaggio di speranza: perché alla fine, dopo tutte le intemperie dell’umana commedia, dopo un viaggio su una cometa per guardare tutto dall’altro, je la potemo fa.
All’orizzonte c’è un disco nuovo di zecca.
Caro 2022, nun fa’ scherzi.
Partiamo da “Cometa”, il brano con il quale avete chiuso il 2021. Ci racconti la storia dietro la canzone?
A differenza dei nostri brani, “Cometa” è un singolo – racconto. Non era mai successo prima, almeno a livello tecnico: è un singolo scritto e recitato da Alessandro Pieravanti, che in questo caso ha deciso anche di cimentarsi nel canto. “Cometa” parla poi di questo momento storico o, meglio, potrebbe raccontare questo momento storico per alcuni, una metafora per narrare la chiusura, l’allontanamento dagli altri, ma poi verso il finale della storia cerca di tornare nella sua comunità per dare forza a tutti. Il protagonista di “Cometa” vuole dare un messaggio di speranza.
In un momento storico in cui si ha, soprattutto se si lavora nello spettacolo, la sensazione di essere inascoltati, di essere fuori da un sistema…
Secondo me è sempre stato così. Col Covid è arrivata la conferma di non essere mai stati rappresentati, di non esserci mai fatti rappresentare, e la colpa in questo caso è anche nostra. In tutte le categorie dei lavoratori ci sono delle rappresentanze che fanno sentire la loro voce, nel settore dello spettacolo forse non sono allora abbastanza forti. Non doveva succedere quello che è successo: già prima del Covid si faceva fatica a sentirsi tutelati, adesso ne abbiamo la conferma. Spero si muova qualcosa, ma penso pure che debba partire da ogni singola persona del settore, da me per primo. Bisognerebbe partire adesso per cercare di capire concretamente come riprendere le nostre attività, mettendo in conto anche una convivenza a lungo periodo con l’emergenza sanitaria.
Nel 2022 sono i primi 10 anni di carriera: se ripensi ai vostri esordi qual è la sensazione preponderante?
Soddisfazione. Perché se ripenso agli esordi mi rendo conto che di strada ne abbiamo fatta, con tanta musica e tanti concerti. Poi se penso agli ultimi anni, francamente, sono un po’ dispiaciuto, ma allo stesso tempo arrabbiato, perché col Covid si è fermato tutto e siamo sospesi tra la brusca interruzione di progetti in corso e l’impossibilità di farne di nuovi. Siamo rammaricati, poteva fermarci sollo una pandemia mondiale, e pare ci sia riuscita!
Cambieresti qualcosa di questi prima 10 anni di carriera?
No, onestamente no. Rifarei tutto. Fino all’interruzione del Covid quello che abbiamo fatto come Muro del Canto è stato sempre in crescita. Tutto quello che abbiamo costruito è stato fatto solo da noi, senza l’aiuto di nessuno, solo con le nostre forze e abbiamo raccolto molto di più di quello che ci aspettavano, in termini di emozioni, di pubblico.
E invece, come è cambiata la scena romana in questi 10 anni?
A dire la verità non la vivo molto. Forse esistono più scene romane. Però, volendo parlare di scena nazionale, noto che Roma è sempre più centrale nella musica: da Roma, per tutti i generi, escono tante produzioni, al di là dell’essere della qualità più o meno alta dei lavori.
Je la potemo fa, secondo te dalla pandemia come ne usciremo?
Chi notevolmente peggiorato, chi notevolmente migliorato. Ma ci sarà anche chi rimarrà lo stesso. Ci sono tutte le carte o per un incattivimento o per un miglioramento: ci sono entrambi le possibilità dipende solo da ognuno di noi, se riusciremo a centrarci oppure usciremo del tutto fuori di senno. Dipende moltissimo da come sono andate le cose in questo periodo, dipende quante difficoltà si sono incontrate, se è stato un momento per ritrovarsi, oppure se è stato un momento di rabbia. Non è poi neanche detto che la rabbia sia negativa, spesso fortifica.
Come prosegue il vostro 2022?
Dico solo che abbiamo il disco pronto.