Il BUIO di Ainé è un viaggio alla ri-scoperta di se stessi, nei propri dolori ma anche nelle proprie possibilità di crescita.
– di Roberto Callipari –
Uscito il 19 aprile, BUIO è la prima parte di un concept album che vede l’artista romano viaggiare nella propria emotività. La scoperta di se stessi passa anche per la consapevolezza, che molto spesso passa anche per emozioni non sempre felici, di difficile gestione, ma è difficile scoprire il bello se prima non si è passati per strade più tortuose. BUIO è esattamente questo tipo di viaggio, uno di quelli che non fa sconti, ma lascia ricordi indelebili e preziosi, di quelli da custodire gelosamente, di quelli da far valere in tutta la loro importanza. Abbiamo avuto modo di raggiungere Ainé, in vista dell’uscita, per farci raccontare meglio l’EP e il futuro che ne seguirà.
Come stai?
Sto bene, è un bel periodo pieno di cose da fare, fra disco, concerti che dovrò fare, la scrittura di altri brani, la preparazione dell’uscita. Un periodo bello pieno, insomma.
BUIO è un concept, e compone la prima metà di un album che è stato diviso in due parti. Nel mercato discografico odierno molto spesso si lanciano delle cose come concept che magari non hanno un tema così forte o dalle quali è difficile estrapolare il tema principale. Però non pare questo il caso e anzi, si sente qualcosa di molto forte e molto presente. Ci racconti meglio l’idea dietro questo lavoro?
L’album intero si chiamerà BUIO LEGGERO, del quale BUIO è la prima parte, uscita il 19 aprile. Il concept è diviso in due parti, dove BUIO parla del distacco e della separazione, mentre LEGGERO parlerà della rinascita. Al titolo di ogni canzone c’è un mese affiancato, perché ogni canzone racconterà quel mese che le ho associato, creando un racconto che parte da aprile fino a chiudere con marzo. BUIO andrà così da aprile ad agosto, per presentare la prima parte del racconto.
Perché si sente l’esigenza di lavorare a un concept?
Ho basato il lavoro sulla mia esperienza personale e privata, e ho voluto raccontare la fine di qualcosa di importante, l’elaborazione del distacco, ma tenendo anche a mente la conseguente rinascita. Se non ci fosse il buio non ci sarebbe la luce, se non ci fosse la fine non ci sarebbe l’inizio: tutto è collegato, e lo penso, indipendentemente da questa esperienza e da quest’album, da sempre. È un racconto personale nel quale, sicuramente, molte persone potranno rivedersi, perché i sentimenti nell’album sono al centro, e i sentimenti ci uniscono tutti, in qualche modo.
E com’è lavorare ad un concept?
È come lavorare ad un disco, fondamentalmente, ma sembra anche di scrivere un libro. Tutto deve avere un senso qua, tutto deve essere unito, mentre magari, lavorando a un album normale, ragioni anche sulle logiche del pezzo più forte, sul singolo, sul pezzo estivo. Qua no, ho solo pensato a scrivere, a scrivere la mia storia e a portarla avanti. Questo è un racconto, ogni brano è legato all’altro e ogni brano funziona perché c’è un filo conduttore a legare tutto, a portare avanti la storia.
Hai parlato di una dimensione della scrittura molto intima, che è presente e viva nell’ascolto di BUIO.
La parte BUIO è quella più intima perché è stata scritta in quella parte più personale della mia esperienza, ovvero quella della separazione e del distacco, e quindi ero portato a essere fra me e me per scrivere quella parte del disco. LEGGERO, infatti, sarà generalmente un disco più aperto, che vede anche momenti diversi, con brani che ho scritto anche in luoghi diversi lontani, come brani che mi sono portato da Lanzarote.
Il fatto stesso che ti introduca in una dimensione così ricercata nell’arrangiamento, quasi a “coccolare” quanto avviene nei testi, dà anche una cifra molto chiara del momento che viene raccontato.
Sì, è stato un momento delicato, che necessitava di un racconto più “elegante”. Cosa che avrà un ragionamento simile alle spalle, ma diametralmente opposta, in LEGGERO, che invece vivrà di momenti più aperti, in cui ci sarà anche una forte componente elettronica a raccontare questa nuova vita che ho incontrato.
È bello notare che per raccontare qualcosa di così personale e intimo comunque tu abbia collaborato con molti altri artisti di rilievo della scena contemporanea: Serena Brancale, RBSN, Alaska, sono solo alcuni dei nomi ma, se ci si pensa, è interessante vedere come il privato del racconto si sposi con una dimensione, invece, comunitaria del lavoro. Come si conciliano le cose?
Innanzitutto io ho sempre creduto nel gioco di squadra: le cose belle, le cose interessanti, insieme agli altri hanno sempre un valore aggiunto, ragione per la quale i credits del disco sono molto lunghi. Però, per rispondere in maniera un po’ più precisa, questa è un po’ la testimonianza dell’essenza del progetto, ovvero voler creare qualcosa che vada oltre me e diventi un modo per tutti per ritrovarsi e riconoscersi. Tutti passiamo certi momenti nella vita, certe fasi, e credo che l’arte e la musica possono essere un filtro o un mezzo per attraversare e superare alcune cose, l’ho sempre fatto. Anche Alchimia, un mio altro lavoro [a proposito del quale abbiamo intervistato Ainé nel 2021, ndr], aveva proprio questa funzione. La musica non è una valvola di sfogo, ma un modo per esorcizzare delle cose, come fosse un terapista o una terapia.
Prendendo spunto dal fatto che molti artisti hanno collaborato con te per questa uscita, volevo proporti una riflessione. La scena R&B sta cambiando molto negli ultimi anni, magari per una sempre maggiore apertura verso l’estero dovuta anche al fatto che, ormai, è sempre più tutto alla portata di tutti, e questo sembra aver portato ad una sorta di nuovo rinascimento del genere in Italia. Qual è la tua percezione al riguardo? Soprattutto considerando che sei un artista molto addentro, da molto tempo, in una città come Roma dove, anche in questo genere, sta succedendo di tutto – per fortuna – e penso a realtà e collettivi come ODD, per esempio.
Sono molto contento in realtà di questa cosa, perché quando ho iniziato io, anni fa, ero uno dei primi e dei pochi, ed era veramente faticoso spiegare agli altri e far capire cosa facessi. Oggi c’è molta più varietà, c’è sempre più gente preparata, soprattutto i più giovani, più giovani di me, che hanno più mezzi per capire ma anche per arrivare a molte persone sin da subito. Roma, come sfondo, credo sia la città con più fermento in quest’ambito, perché c’è una grande cultura e una grande varietà, anche, forse, per una lunga storia e tradizione di jazz. ODD ovviamente in questo senso è fenomenale, perché stanno facendo delle cose davvero interessanti.
Vieni da esperienze molto diverse e varie: hai studiato all’estero, e ora sei anche insegnante di musica in una importante scuola di musica romana. Tutto ciò come influenza il tuo lavoro?
Sicuramente la mia formazione negli USA ha influenzato molto il mio modo di insegnare oggi. Però diciamo che continuo a cercare di portare ai ragazzi la contemporaneità, per fargli capire cos’è la musica oggi, parlando il più possibile.
Pensi che nel lavoro di insegnante c’è qualcosa che influenza il tuo lavoro artistico?
In maniera diretta non credo, ma imparo tanto dai ragazzi a cui insegno. Loro mi aprono nuove prospettive! Pensa che con alcuni ex allievi collaboro anche, nei live o nelle sessioni di scrittura, perché credo, come dicevo, che la generazione di oggi, su alcune cose, è davvero molto preparata, e io non posso che imparare da loro.
Qual è il futuro dopo BUIO? Oltre LEGGERO…
Sicuramente mi auguro di suonare il più possibile, con un bel tour. Poi a maggio si va in Giappone, per delle date molto intense per le quali mi sto preparando. Poi ho intrapreso da poco il percorso di autore, che è una cosa nuova che mi piace molto e non vedo l’ora di entrarci dentro sempre di più. Inoltre, sto pensando a un altro paio di progetti per i quali ho diverse idee. C’è tanta carne al fuoco, e cerco di cavalcare l’onda!