– di Angelo Andrea Vegliante –
Torniamo ad affrontare la musica elettronica, e lo facciamo con una produzione italiana di tutto rispetto, che nell’ultimo periodo ha viaggiato in lungo e in largo per l’Europa. Stiamo parlando degli Inude, una band pugliese che oggi, 5 dicembre 2019, esce con il primo album, “Clara Tesla”. Abbiamo contattato il terzetto per farci dire qualcosa di più.
Per gli ascoltatori, il 5 dicembre è l’anno zero del primo LP degli Inude, “Clara Tesla”. Per voi, invece, si tratta di un’opera realizzata e ascoltata ormai da tempo. Quindi, la domanda è d’obbligo: come ci si sente a sapere che per voi questo è un disco ‘vecchio’, mentre per il pubblico è totalmente nuovo? Come vivete questa dicotomia?
Male, la viviamo male perché il disco a noi risultava vecchio già un mese dopo averlo finito. Tutto sommato, però, pensare che la gente non l’abbia ancora ascoltato per intero ci tira su il morale.
Come mai avete intitolato l’album “Clara Tesla”?
Durante la scrittura di quest’album, abbiamo adottato diversi animali e a tutti abbiamo dato un nome e un cognome. Tra i tanti una gatta, Clara. Accarezzandola, avvertimmo una leggera scarica elettrostatica, per cui il cognome più appropriato ci sembrò Tesla, in onore di Nikola Tesla. Forse per una strana forma di suggestione nei giorni e nei mesi successivi, abbiamo trovato e notato numerosi riferimenti involontari allo stesso Nikola Tesla. Ad esempio, abbiamo scoperto dopo molti mesi che la sua passione nacque da bambino in seguito ad un evento analogo al nostro. Pare che Tesla iniziò a interessarsi alla scienza dopo una scossa che prese accarezzando proprio un gatto. Coincidenze?
Dalla vostra opera abbiamo già imparato a conoscere “Balloon”, “By the Ocean”, “Sleep” e “So Easy”. Come mai avete deciso di utilizzare questi quattro singoli come bandiere di “Clara Tesla”?
Abbiamo selezionato dei brani diversi tra loro sia a livello di timbrica che a livello di mood. Inoltre abbiamo cercato di evidenziare quelli più vicini al concetto di “singolo”.
A quanto ho capito, alla realizzazione del disco ha contribuito fortemente un vostro periodo di isolamento in una casa tra le colline. Come mai questa scelta? Vi ha dato modo di sperimentare meglio la vostra arte?
Avevamo bisogno di staccare e sentivamo il bisogno di stimoli contrapposti a quelli che ci aveva dato Milano, al tempo del primo Ep, per dare una dimensione diversa alla nostra musica. Non potevamo avere la garanzia che questo “isolamento” potesse funzionare, ma in realtà è stato fondamentale per la scrittura dei pezzi. Abbiamo avuto modo di guardarci molto dentro e se il disco ha questo mood lo dobbiamo anche a Montefabbri (PU).
L’elettronica è un marchio tipicamente europeo, in Italia troppe volte sfocia nella versione pop. Come si fa a mantenere un’identità specifica (e anche con le caratteristiche delle proprie origini) in un contesto molto fluido?
Non pensiamo che esista una formula matematica per mantenere una propria identità artistica specifica. Tuttavia, non sentirsi totalmente appartenenti alla propria terra, ma piuttosto sentirsi parte di qualcosa di più grande, ti permette di avere meno vincoli. In questo modo la propria personalità viene fuori e si traduce in “originalità”. I target e le etichette ingabbiano l’arte.
Con questo vostro primo LP, state sperimentando qualcosa di assolutamente nuovo rispetto ai vostri lavori precedenti?
Con questo LP abbiamo cercato di cambiare pelle sperimentando un modo diverso di comporre e produrre i brani e siamo molto contenti del risultato.
“Clara Tesla” racchiude i toni caldi dell’inverno. Il disco esce il 5 dicembre. Coincidenze?
Non avremmo mai accettato che l’album uscisse durante una stagione calda, nessunissima coincidenza!
Che reazione vi aspettate dalla gente in merito a quest’uscita?
Bella domanda! Spesso abbiamo pensato a cosa potrebbe pensare chi ascolterà “Clara Tesla”, di sicuro ci aspettiamo che non tutti riescano ad entrare in empatia al primo ascolto, ma allo stesso tempo speriamo che le persone vengano accolte dallo stesso calore del caminetto che ci ha accompagnati durante la scrittura dei brani.
In linea di massima, quale obiettivo volete raggiungere attraverso l’opera?
Bisogna prendersi il giusto tempo per ascoltare ed assimilare quest’album, che è ricco di dettagli e suggestioni. Pensiamo infatti che questo lavoro si differenzi da altri per la sua ricercatezza sonora. Non c’è un vero e proprio obiettivo che vorremmo raggiungere attraverso questo disco, se non quello di riuscire a entrare in empatia con chi ascolta.
Personalmente, apprezzo molto i videoclip delle vostre ultime tre canzoni. Come mai avete scelto un format di questo tipo
Sin dall’inizio la nostra estetica è stata condizionata anche dai nostri videomaker, Gianvito Cofano e Alberto Mocellin a.k.a. Acquasintetica. Sono sempre stati affini ai nostri gusti visivi e noi abbiamo sempre ispirato loro musicalmente parlando. Quando ci hanno proposto questo format ci è piaciuto fin da subito perché è essenziale, d’impatto e, nonostante la “staticità”, molto comunicativo.
Oggi, la musica ha ancora un potere fluido e liquido?
Stiamo vivendo in un periodo in cui riusciamo a vedere la realtà trasformarsi nell’arco di pochi anni. La nostra generazione, in particolare, ha visto il passaggio definitivo dall’analogico al digitale e ne ha subito tutte le conseguenze. Questo flusso è stato seguito dalla musica che continua ad avere il suo potere fluido e liquido di adattarsi e mutare in base al contesto socio culturale.